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Assegno di divorzio: come è cambiata la giurisprudenza

Assegno di divorzio: come è cambiata la giurisprudenza

Il nuovo principio di autoresponsabilità economica.

Assegno di divorzio. Con la sentenza che scioglie il vincolo matrimoniale, il giudice, in presenza di determinate condizioni previste dalla legge, può prevedere che un ex coniuge versi in favore dell’altro (periodicamente o, eccezionalmente, in un’unica soluzione) l’assegno di divorzio.

Fino a quando dovrà essere corrisposto?

In materia di diritto di famiglia vige il principio rebus sic stantibus in virtù del quale è sempre possibile proporre ricorso al Tribunale per modificare le decisioni del giudice al verificarsi di nuove situazioni di fatto che mutino le condizioni economiche degli ex coniugi.

L’assegno di divorzio, pertanto, è lo strumento di contribuzione economica finalizzato al sostentamento dell’ex coniuge, in virtù del principio di solidarietà post-coniugale, che dovrà essere corrisposto dall’obbligato finché non intervenga una nuova pronuncia del giudice che lo revoca o lo riduce.

Assegno di divorzio: la sua vecchia funzione.

Secondo il precedente e consolidato orientamento della Suprema Corte – pronunciatasi sul punto anche nella sua composizione più autorevole – all’assegno di divorzio andava attribuita una funzione perequativa.

In virtù della natura esclusivamente assistenziale dell’assegno di divorzio, la sua concessione trovava presupposto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi a garantirgli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, anche in assenza di un effettivo stato di bisogno.

Invero, rilevava esclusivamente un apprezzabile deterioramento, dipendente dal divorzio, delle precedenti condizioni economiche che, con l’assegno divorzile, dovevano essere tendenzialmente ripristinate per ristabilire l’equilibrio goduto dall’ex coniuge prima dello scioglimento del vincolo matrimoniale (Cass. S.U. n.11490/1990).

In virtù di tanto, il quantum dell’assegno era determinato tenendo conto sia delle circostanze e dei redditi dell’obbligato sia del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Negli ultimi anni, caratterizzati dal raggiungimento da parte della donna di una condizione di emancipazione e autosufficienza sempre più marcata, sono emersi tutti i limiti di tale orientamento.

Il parametro del “tenore di vita matrimoniale” al quale era legato l’assegno divorzile, proprio perché ancorato ad un rapporto affettivo ormai del tutto spirato, ha iniziato a dimostrarsi anacronistico e, pertanto, illegittimo.

Il caso.

Una ex moglie ricorreva in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano che le aveva negato il diritto all’assegno di divorzio.

I giudici milanesi avevano ritenuto non dovuto l’assegno divorzile in favore della donna innanzitutto perché avevano rilevato un depauperamento della situazione reddituale dell’ex marito dopo il divorzio, tale da non poterle più garantire l’elevato tenore di vita matrimoniale.

In secondo luogo, perché la stessa non aveva dimostrato l’inadeguatezza dei propri redditi ai fini della conservazione del medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

La donna, quindi, proponeva ricorso per cassazione deducendo, tra i motivi di impugnativa, la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, c. 6, L. n.898/1970.

Sosteneva, infatti, che i giudici del riesame, nel negarle il diritto all’assegno di divorzio, non avevano tenuto in considerazione la sperequazione tra le situazioni reddituali e patrimoniali degli ex coniugi né, tantomeno, l’impossibilità dell’istante di procurarsi da sé mezzi adeguati a conservare il medesimo tenore di vita matrimoniale.

La decisione.

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso sostenendo che la Corte d’Appello di Milano fosse pervenuta a una conclusione conforme a diritto laddove aveva ritenuto che la signora non avesse assolto l’onere di provare l’impossibilità di raggiungere una propria indipendenza economica.

Anzi, la stessa risultava esercitare la professione di imprenditrice, possedere un’elevata qualificazione culturale con titoli di alta specializzazione e importanti esperienze professionali anche all’estero; tra l’altro, già in sede di separazione i coniugi avevano pattuito che nessun assegno di mantenimento fosse dovuto dall’ex coniuge.

La Corte di legittimità, nel contempo, ai sensi dell’art.384, c.4, c.p.c., operava una correzione della motivazione in diritto della sentenza impugnata, stabilendo che la sussistenza del diritto all’assegno divorzile in favore di un ex coniuge dovesse essere verificata avendo riguardo non più al parametro del c.d. “tenore di vita goduto in costanza di matrimonio”, bensì a quello della capacità economica, reale o potenziale, dell’ex coniuge beneficiario.

 La sentenza n. 11504/2017.

La pronuncia prevede che il giudice del divorzio, richiesto dell’assegno divorzile ai sensi dell’art. 5, c.6, l. n. 898/1970, come sostituito dall’art. 10 l. n. 74/1987, debba:

1) nella prima fase dell’“an debeatur” – informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascun coniuge – verificare se la domanda dell’ex coniuge richiedente soddisfa le condizioni di legge (mancanza di “mezzi adeguati” o impossibilità di “procurarseli per ragioni oggettive”).

A tal fine, il giudicante deve aver riguardo non già al tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, ma esclusivamente all’indipendenza o autosufficienza economica del richiedente, da desumersi attraverso specifici indici, quali:

  • il possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente);
  • l’effettiva capacità e possibilità di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso e al mercato del lavoro dipendente o autonomo;
  • la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

2) nella successiva fase del “quantum debeatur” – informata al principio della solidarietà economica post-coniugale – tenere conto di tutti gli elementi indicati dalla norma (“condizioni dei coniugi”, “ragioni della decisione”, “contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”, “reddito di entrambi”).

Tutti questi elementi devono essere valutati anche in rapporto alla durata del matrimonio, al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno divorzile, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova.

La prova e il principio di “autoresponsabilità economica”.

L’onere di provare l’impossibilità di provvedere a sé stesso ricade sul coniuge che chiede l’assegno: è quest’ultimo a dover dimostrare di non essere capace, per l’età avanzata o per particolari disabilità che lo rendano inetto al lavoro, di procurarsi con le proprie forze di che vivere.

Con la sentenza n.11504 del 10 maggio 2017, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha operato un’importante inversione di rotta rispetto al passato.

La pronuncia esaminata segna un netto spartiacque tra le situazioni in cui un coniuge versa in condizioni di effettivo bisogno – e allora l’assegno divorzile, in forza della sua natura solidaristica e assistenziale, assume una valida giustificazione – e altre invece in cui lo stato di bisogno è solo frutto di pigrizia e va, pertanto, negato.

L’assegno divorzile cessa di configurarsi come misura assistenziale perpetua e viene ad essere sorretto dal principio di autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi, considerati nella loro individualità.

Adesso, un coniuge ancora giovane, senza alcuna disabilità che lo sottragga al lavoro, magari anche in possesso di titoli di studio, seppur momentaneamente disoccupato, non avrà più diritto ad alcun mantenimento se idoneo, anche solo potenzialmente, a provvedere da sé al proprio sostentamento.

Mette conto rilevare che la Corte d’Appello di Roma, sezione famiglia, con ordinanza del 15 novembre 2017, ha operato un’interpretazione estensiva di tale principio applicandolo anche all’assegno di mantenimento in sede di separazione giudiziale.

Gli Ermellini, al momento, lo hanno espressamente circoscritto al solo giudizio di divorzio, sussistendo profonde differenze tra lo scioglimento del vincolo coniugale e la separazione personale in riferimento ai diversi effetti che le rispettive pronunce producono nei rapporti tra i coniugi.

E per i figli?

Nulla è cambiato riguardo al mantenimento dei figli. A questi spetta il diritto di essere mantenuti non solo fino al compimento della maggior età ma anche fino al raggiungimento dell’indipendenza economica (che non coincide semplicemente con il reperimento di un lavoro occasionale ma con una vera e propria stabilità economica), tenendo comunque conto dello stesso tenore di vita di cui godevano quando vivevano con i genitori o quando questi erano ancora uniti.

Leggi anche: Assegno Divorzile: addio al tenore di vita

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