Il permesso ex art. 31 T.U. Immigrazione e la sua evoluzione giurisprudenziale
Il permesso ex art. 31 T.U. Immigrazione. Una delle ipotesi migratorie tuttora più diffuse, riguarda l’ingresso nel nostro territorio di intere famiglie di stranieri clandestine che hanno un figlio in età scolare o ne danno alla luce uno mentre sono già in Italia. In questa sede ci occuperemo del primo caso, ossia di quelle famiglie […]
Il permesso ex art. 31 T.U. Immigrazione.
Una delle ipotesi migratorie tuttora più diffuse, riguarda l’ingresso nel nostro territorio di intere famiglie di stranieri clandestine che hanno un figlio in età scolare o ne danno alla luce uno mentre sono già in Italia.
In questa sede ci occuperemo del primo caso, ossia di quelle famiglie che fanno ingresso nel territorio italiano con figli in quanto, laddove il minore di una coppia clandestina nasca in Italia, è intrinseco il rilascio del permesso di soggiorno.
La tematica affrontata in questo articolo riveste particolare importanza, non tanto per la norma in se, quanto per la sua interpretazione sempre più elastica creata dalla giurisprudenza, poiché il legislatore dal 1998 ad oggi non è mai intervenuto su questa legge.
L’art. 31 del T.U. Immigrazione è stato voluto dal legislatore italiano per consentire a coloro i quali facciano ingresso nel territorio dello Stato Italiano in modo irregolare, e quindi clandestino, di regolarizzare la loro posizione sin dal loro arrivo, a condizione che siano in possesso di determinato requisiti.
Quali sono i requisiti previsti dall’art. 31 del D. Lgs. 286/1998?
L’art. 31, comma 3, del suindicato testo di legge sancisce: “Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge. L’autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza.”.
La norma dunque dispone che il familiare del minore straniero in Italia (genitore o parente) può entrare o restare nel territorio italiano, dietro autorizzazione del Tribunale per i Minorenni territorialmente competente, previa verifica dei requisiti normativi, per un periodo determinato, derogando così a tutte le altre disposizioni normative.
Per poter ottenere l’autorizzazione è necessario che sussistano i seguenti requisiti:
1) gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore;
2) età e condizioni di salute del minore presente in Italia.
Il primo motivo è stato per lunghi anni al centro di un grande dibattito giurisprudenziale e si sono susseguite varie interpretazioni sulla locuzione “gravi motivi”.
Il secondo motivo è strettamente correlato al primo e molto spesso viene assorbito dallo stesso in ordine alla valutazione della concessione o negazione del permesso di soggiorno.
I gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore e l’evoluzione interpretativa.
Sull’interpretazione della locuzione “gravi motivi” la giurisprudenza dei Tribunali minorili, delle Corti di Appello e della Suprema Corte è stata sempre divisa, sostanzialmente, in due filoni giurisprudenziali.
Da una parte l’orientamento di chi ha ricondotto la concessione del permesso solo in presenza di quelle gravi condizioni di salute del minore straniero alle quali fa chiaramente riferimento la norma e, dall’altro, l’impostazione esegetica di chi, in primo luogo, considera irrinunciabile una valutazione caso per caso di quell’insieme di condizioni necessarie per un equilibrato sviluppo psico-fisico del minore e, in secondo luogo, qualifica i gravi motivi di cui parla la norma assolutamente non circoscrivibili al solo stato di salute del minore.
La Corte di Cassazione è intervenuta aderendo all’impostazione più restrittiva, sottolineando la necessità che venga accertata l’esistenza di una situazione di emergenza, di carattere eccezionale e contingente e che ponga in grave pericolo lo sviluppo normale della personalità del minore, legata all’assenza o all’allontanamento improvviso del genitore (Cass. civ., 15 gennaio 2007, n. 747; Cass. civ., 2 maggio 2007, n. 10135).
Questo orientamento è stato, però, in gran parte ridimensionato, a partire dalla sentenza n. 22216 del 2006, con la quale gli Ermellini, riuniti in Sezioni Unite, hanno attribuito maggior rilievo all’interesse del minore, compiendo una distinzione tra genitore richiedente che deve ancora fare ingresso in Italia e genitore richiedente che è già presente sul territorio dello Stato.
Nel primo caso, infatti, l’accesso in deroga può essere consentito solo a seguito di una valutazione più stringente dei gravi motivi ai quali fa riferimento la norma, mentre nella seconda ipotesi, sostiene la Corte, “la situazione eccezionale nella quale vanno ravvisati i gravi motivi può anche essere dedotta quale conseguenza dell’allontanamento improvviso del familiare sin allora presente, ossia di una situazione futura ed eventuale rimessa all’accertamento del giudice minorile” (Cass. civ., SS.UU., 16 ottobre 2006, n. 22216).
Ancora più recentemente, con la sentenza n. 22080 del 2009 e l’ordinanza n. 823 del 2010, la Corte di Cassazione è tornata sull’argomento, aderendo e confermando l’orientamento precedente, sottolineando come la temporanea autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare del minore “non postuli necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo essere connessa anche soltanto alla tenerissima età del minore, tenuto conto della grave compromissione all’equilibrio psico-fisico che determina in tale situazione l’allontanamento o la mancanza di uno dei genitori”.
A questo punto, una volta chiarito cosa deve intendersi per “gravi motivi”, è lecito domandarsi se il permesso di soggiorno per assistenza dei figli minori possa essere rilasciato anche in favore dei genitori clandestini che abbiano riportato condanne penali previste dal D. Lgs. 286/98, passate in giudicato.
Il permesso di soggiorno ex art. 31 T.U. Imm. va concesso anche al pregiudicato?
Per rispondere a questa domanda abbiamo chiesto l’ausilio dell’Avv. Vitantonio D’Attoma del foro di Bari, che da tempo si occupa del diritto dell’immigrazione, e recentemente ha visto accogliere la domanda di permesso di soggiorno proprio in favore di un genitore clandestino con precedenti penali.
L’Avv. D’Attoma richiamando i principi enunciati dalla legge, e, l’interpretazione operata dalla Suprema Corte di Cassazione a Sez. Unite con la Sentenza n. 22216/2006, in merito alla titolarità del diritto del cittadino straniero clandestino e pregiudicato di ottenere il permesso di soggiorno dichiara: “l’istituto disciplinato dall’art. 31 del D. Lgs 286/1998 (Testo Unico Diritto dell’Immigrazione) è una tutela offerta non direttamente al genitore clandestino, bensì, al figlio di quest’ultimo. La ratio dell’art. 31 è chiaramente ispirata alla salvaguardia dell’unità famigliare, poiché, sia la nostra Carta Costituzionale che la Convenzione sui diritti del fanciullo, considerano l’unità famigliare un diritto primario.”
Continua l’Avv. D’Attoma: “Proprio perché nel nostro ordinamento la famiglia è un valore importante, e, il minore non può esserne privato, la sussistenza di una condanna penale ai sensi del T.U. Imm., sia pur passata in giudicato, non può costituire un elemento ostativo alla concessione del provvedimento ex art. 31 T.U. Immigrazione.”
Detto ciò – conclude l’Avv. D’Attoma – : “Nel 2019, stante i numerosi respingimenti dei ricorsi ex art. 31, è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione Sez. Unite, che con la Sentenza n. 15750 del 12/06/2019 ha sancito un importante e illuminante principio: “…il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero; nondimeno la detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto della istanza di autorizzazione all’esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l’interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con il suo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario, ma non assoluto.”.
Conclusioni.
Il provvedimento rilasciato dal Tribunale per i Minorenni, unico organo competente ad autorizzare l’ingresso o la permanenza nel territorio italiano, ai sensi e per gli effetti dell’art. 31, T.U. Imm., così come pensato dal Legislatore e mutato dalla vere interpretazioni giurisprudenziali, assume una importante valenza.
Il permesso di soggiorno pur rivestendo i caratteri della provvisorietà e temporaneità, rappresenta ancora oggi uno strumento in grado di fornire dati necessari ad elaborare un censimento dei clandestini e dei loro nuclei famigliari. Inoltre tale provvedimento consente di sanare la presenza “fantasma” dei clandestini, ciò arreca un vantaggio per lo Stato italiano in termini di legalità, economia e sociale.
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