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Iprite: il mostro di Molfetta e i suoi ordigni chimici

Iprite: il disastro della John Harvey.

Iprite: il disastro della John Harvey.

Mare di papaveri” si intitola un bel libro dello scrittore indiano Amitav Ghosh, un mare di bombe è quello che circonda, invece, il porto di Molfetta.

Una delle sconfitte più amare per gli alleati dopo Pearl Harbour, la notte del 3 dicembre 1943. La flotta aerea tedesca, trenta bombardieri circa, attacca il porto di Bari e le navi alleate presenti sul molo. Vengono colpiti i depositi di armi chimiche e due imbarcazioni che ne erano stipate.

Esplode anche la nave John Harvey carica di bombe all’ipriteUna parte degli ordigni esplose e parte si disperse in mare. Migliaia le bombe recuperate sui fondali e la certezza che non vi erano solo due navi che trasportavano ordigni chimici.

Quella maledetta notte vengono affondate 17 navi militari e di supporto logistico, altre 7 gravemente danneggiate. La prova della massiva contaminazione chimica della zona di Bari, dopo il bombardamento, si evince dai corpi pieni di vesciche di circa 600 persone. Molti sono morti, poco tempo dopo, a causa della contaminazione. L’accaduto è stato minimizzato dagli alleati che, per volere del premier inglese Winston Churchill, hanno cercato di insabbiare quanto accaduto.

Il Protocollo di Ginevra del 1925.

L’utilizzo di tali ordigni, infatti, comportava la violazione di uno dei punti del Protocollo di Ginevra del 1925, che vietava l’impiego in guerra di gas asfissianti, tossici o simili e di mezzi batteriologici. I paesi occidentali, fine anni ‘60, hanno deciso di rompere il legame tra armi chimiche e armi biologiche, proponendo un trattato per l’eliminazione delle sole armi biologiche.

Nel 1972 è stata firmata a Washington, Londra e Mosca la Convenzione per la proibizione dello sviluppo, produzione e immagazzinamento delle armi batteriologiche e delle tossine (BWC, Biological Weapons Convention). Ne sono parti 155 Stati, mentre altri 16 l’hanno firmata ma non ancora ratificata.

Chemical Weapons Convention.

La Convenzione sulle armi chimiche è stata conclusa a Parigi nel 1993 (CWC, Chemical Weapons Convention) e conta attualmente 188 Stati parti. Proibisce qualsiasi attività rivolta allo sviluppo, alla produzione, all’acquisizione, alla detenzione, alla conservazione, al trasferimento e all’uso di armi chimiche e dei materiali a esse collegati.

Il segreto imposto da Churchill è rimasto tale sino al momento in cui il generale Dwight Eisenhower, divenuto presidente degli Stati Uniti, pubblica le sue memorie e fa riferimento all’attacco aereo del Porto di Bari e all’esplosione della John Harvey.

Subito dopo il bombardamento del porto di Bari, tutte le bombe che venivano confezionate dagli alleati presso l’ex stabilimento Stacchini, in località Torre Gavetone a Molfetta, sono state precipitosamente scaricate in mare. Si trattava di ordigni chimici principalmente al fosforo e all’iprite.

Quell’odore di aglio era l’unico segnale di quello che stava accadendo, era l’unico avviso della morte invisibile chiamata iprite (Veleni di Stato – Gianluca Di Feo).

Anche i tedeschi, in ritirata da Foggia, hanno scaricato nell’Adriatico (principalmente nelle zone di Molfetta, Trani, Manfredonia e Margherita di Savoia) diverse tonnellate di gas racchiuso in bombole. E così il nostro bel mare diventa una colossale discarica bellica. La bonifica dei primi ordigni (circa 10 mila), dopo la morte di cinque pescatori nell’Ospedale di Molfetta, inizia nel 1946 nella zona di mare tra Bari e Molfetta.

I nuovi lavori al porto di Molfetta hanno risvegliato il mostro.

Pare che le armi chimiche mantengono attivo il loro potenziale distruttivo anche sott’acqua. Il fatto sconcertante è che mentre noi, assieme al resto del mondo, ci siamo mobilitati contro il regime siriano per l’impiego che fa delle armi chimiche, l’esistenza nel nostro mare del notevole numero di ordigni chimici continua ad essere ignorata e sottovalutata dalle nostre autorità. Tra il 1946 ed il 1995, 232 persone sono decedute a causa dell’iprite.

Iprite: perché questo gas non si arrende mai?

Iprite è il nome usuale del diclorodietilsolfuro, S(CH2CH2Cl)2, chiamato anche gas mostarda. Dotato di proprietà vescicatorie e tossiche, l’Iprite fu sperimentato per la prima volta dai Tedeschi come aggressivo chimico durante la Prima guerra mondiale, nel settore di Ypres (Belgio, 1917), città da cui prende nome.

Si produce con diversi metodi:

  • come aggressivo: è particolarmente pericoloso per la sua elevata persistenza;
  • per la facoltà che hanno i suoi vapori di agire sulla pelle, anche attraverso i vestiti;
  • forma vesciche, necrosi, disturbi circolatori;
  • ha un’azione tossica generale.

Produce mutazioni nel patrimonio genetico:

  • è come un killer spietato, dotato di molta pazienza, che da solo o mescolato ad altri elementi chimici (quali ad esempio la lewsite) continua ad uccidere per decenni.
  • a volte non uccide subito ma divora inesorabilmente gli organismi viventi sino a raggiungere l’obiettivo per cui è stata creata.

L’iprite agisce in silenzio, invisibile, protetta dal segreto di Stato. Una ricerca del 1996 dell’Icram, coordinata dal prof. Ezio Amato, ha riscontrato che nell’Adriatico i pesci sono particolarmente esposti all’insorgenza di tumori, a danni all’apparato produttivo, e a vere e proprie mutazioni genetiche.

Il progetto si chiama Acab (un acronimo che significa Armi chimiche affondate e bentos), ricondotto al nome del capitano del romanzo di Melville. E l’azione dell’iprite continua indisturbata anche dopo la morte di chi è stato colpito dal suo veleno.

L’Iprite è capace di disgregare il DNA: modifica il codice della vita e le sequenze genetiche che consentono di riprodurla.

In teoria l’iprite è praticamente immortale. Se viene conservata nel modo giusto è sempre pronta ad uccidere. L’azione del mare, oltretutto, danneggia gli involucri che contengono l’iprite, complici le correnti e la corrosione. Di conseguenza, gli ordigni chimici si sgretolano e liberano in mare il loro micidiale contenuto.

Spesso le bombe rimangono impigliate nelle reti a strascico dei pescatori e si lesionano. Il risultato è che da 75 anni il mare di Molfetta viene inesorabilmente contaminato da iprite e arsenico. Le Analisi di Acab hanno infatti accertato che i pesci del Basso Adriatico presentano anomalie mai riscontrate nel Tirreno.

Con i lavori per il nuovo porto di Molfetta, iniziati nel 2007, i pescatori hanno cominciato a segnalare la presenza nelle reti di liquidi non identificati, il contatto con i quali provoca svenimenti e ferite tipiche dell’esposizione all’iprite.

I pescatori sono stati sottoposti ad analisi ematiche che hanno accertato nel loro sangue la presenza di sostanze provenienti dagli ordigni chimici lì inabissati come Lewisite, Adamsite e Arsenico.

La grande discarica dell’umanità è sempre stata il mare. Un buco nero infinito a cui affidare i nostri scarti, direttamente o attraverso i fiumi (Veleni di Stato – Gialuca Di Feo).

Nessuno ha mai valutato in che modo e con quali risultati questi danni possano trasmettersi all’uomo attraverso l’ingestione del pesce geneticamente mutato.

Esercito e Marina itervengono a Molfetta: dopo 75 anni gli ordigni chimici sono ancora sui fondali del mare.

Una nuova fase di bonifica coinvolge gli Artificieri dell’11° Reggimento Guastatori di Foggia dell’Esercito Italiano e i Palombari del Comando Subacquei ed Incursori della Marina Militare (Consubim). Tale intervento è stato richiesto dalla Prefettura di Bari a seguito dei ritrovamenti effettuati da parte di alcune ditte specializzate nel settore, in occasione dei lavori per il nuovo Porto di Molfetta.

In totale verranno rimosse 83 bombe incendiarie e una bomba al fosforo americana da 100 libbre. Gli ordigni chimici, a differenza di quelli convenzionali, vengono caricati con sostanze che innescano la loro reazione incendiaria solo quando vengono in contatto con l’ossigeno presente nell’atmosfera.

Le attività di bonifica.

Gli Artificieri subacquei della Marina, in forza al Nucleo S.D.A.I. (Sminamento Difesa Antimezzi Insidiosi) preleveranno dai fondali marini i diversi ordigni a caricamento speciale e li consegneranno agli artificieri dell’Esercito.

considerando che i risultati conseguiti nel campo della chimica dovranno essere usati esclusivamente a beneficio dell’umanità(Preambolo Convenzione sulle armi chimiche, CAC, conclusa a Parigi il 13 gennaio 1993).

La verità è che a 75 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, centinaia di ordigni chimici giacciono ancora sui fondali del mare di Molfetta continuando a causare danni all’ecosistema e all’uomo.

E’ un dovere quello di restituire agli abitanti, e agli italiani, il meraviglioso mare di Molfetta e non occultare la realtà di quello che è attualmente: una pattumiera di ordigni chimici, un mare di bombe volutamente dimenticate.

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