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Le App giochi per i minori minano la privacy

App giochi e minori: focus sulla privacy.

App giochi e minori: focus sulla privacy.

Le app che i minori scaricano dai loro device sono spesso pericolose e illegittime poiché violano la normativa sulla privacy. Molto spesso i minori per essere al passo coi tempi scaricano ed installano sui loro dispositivi mobili delle App, senza leggere ove presenti quali siano le condizioni, o meglio dire il contratto, che regola l’utilizzo della stessa.

Questo comportamento facilita chi sviluppa una applicazione con l’intento di rubare i dati dei possessore del cellulare, tracciare i movimenti dello stesso e diffondere i dati anche in paesi in cui la tutela della riservatezza non è adeguata, come avviene ad esempio per l’applicazione FaceApp.

Alcune primarie associazioni italiane che operano nel settore della privacy, tra cui spicca FederPrivacy, hanno esaminato a campione 500 applicazioni di giochi disponibili nel Google Play Store. Ne è risultato che nell’85% l’indice Pegi (Pan european game information, che è il metodo che classifica i videogiochi per fasce di età e contenuti) è inferiore a 7.

Cosa significa indice Pegi inferiore a 7?

Gli indici Pegi vanno dal 3 al 18, maggiore è l’indice più espliciti sono i contenuti, più elevato è il rischio di annunci pubblicitari per adulti. Sul campione analizzato l’indice Pegi si è attestato poco sotto il 7. Ciò significa che le applicazioni scaricate dai minori contengono immagini e annunci pubblicitari destinati ad un pubblico “adulto”.

Questo deve indurre a pensare che l’attenzione verso la tutela dei minori non è appropriata, anzi! Sembra non rappresentare un problema per gli sviluppatori. Dalle analisi effettuata si può dedurre che la maggior parte delle applicazioni violi l’art. 8 del Regolamento Ue sulla privacy n. 2016/679.

Cosa si cela dietro l’informativa che l’utente visualizza?

Spulciando lo studio condotto, si legge che quasi la totalità (oltre il 90%) delle applicazioni scaricate fornisce una “informativa sulla privacy”, comprensiva anche di contatti ma, allo stesso tempo, nell’87% delle app si evidenzia una diffusa mancanza di una figura importante ossia il D.P.O (Data Protection Officer (87%).

Il D.P.O. è il responsabile della protezione dei dati incaricato di vigilare sul rispetto delle norme sulla privacy, a cui gli utenti dovrebbero potersi rivolgersi in ogni momento per esercitare i loro diritti.

Cos’altro si cela dietro le APP?

Lo studio condotto svela qualcosa di incredulo! Nel 94% delle applicazioni esaminate è presento uno strumento informatico “dannoso” chiamato tracker. Il tracker è uno strumento in grado di raccogliere molte informazioni sull’utilizzatore dell’applicazione, tra le quali si annoverano: geolocalizzazione e profili social.

Nel 62% delle applicazioni esaminate sono presenti da 6 a 20 tracker. I principali tracker sono quelli di Google, che risultano presenti nella maggioranza dei casi (92%) mentre quelli di Facebook superano la metà (54%), fanalino di coda sono Amazon e Microsoft, rispettivamente con il 6 e 3%.

Le sorprese non finiscono! Nel 99,6% delle applicazioni oggetto dello studio è presente anche una richiesta di permesso di accesso al dispositivo, cioè la possibilità tramite l’applicazione di controllare il microfono e la webcam del dispositivo usato.

Analisi giuridica del consenso e risvolto giurisprudenziale.

L’articolo 8 del GDPR (Reg. UE 2016/679), si occupa di disciplinare le condizioni applicabili al consenso espresso dai minori in relazione ai servizi della società dell’informazione.

La norma prevede: “Qualora si applichi l’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale.”.

Su questo punto la legge italiana (D.Lgs. 196/2003) nota come legge sulla privacy (ancora vigente), con l’entrata in vigore del GDPR ha cercato di adeguarsi. L’art. 2 quinquies legge sulla privacy prevede: “In attuazione dell’articolo 8, paragrafo 1, del Regolamento, il minore che ha compiuto i quattordici anni può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione.”.

Il lettore noterà subito una netta differenza: il limite di età fissato dal GPDR è più alto rispetto a quello fissato nel D.Lgs. 196/2003. Questa differenza non riguarda solo il fattore età, anche le regole speciali sul consenso relativo al trattamento dei dati previsto dal GPDR non incidono con quelle previste dalla disciplina italiana.

In particolare le regole dettate nel caso di sottoscrizione di un contratto mediante download di un app. Tutto questo porta al sorgere di un interrogativo che verte sulla relativa capacità contrattuale di agire. Partendo dall’assunto che per la legge italiana la capacità d’agire, salvo casi particolari, si acquista con il compimento della maggiore età, nel momento in cui il minore scarica un’applicazione conclude un contratto o no?

L’illuminante pronuncia del TAR Lazio.

Sul punto è intervenuta una pronuncia del TAR Lazio, il quale con la Sentenza n. 261/2020 ha chiarito che: ogni volta che un minore scarica un’applicazione, a prescindere dalla gratuità o meno dell’applicazione, ciò che conta è vedere se si conclude un accordo che preveda il sorgere di obbligazioni, anche eventualmente a carico di una sola parte.

Se c’è un contratto, il consenso deve essere rilasciato dall’esercente la potestà genitoriale pena la nullità del consenso stesso.

Leggi anche: Il Garante della privacy “blocca” WhatsApp

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Antonio Valenza

Giurista. Studioso e appassionato di finanza e di economia. Arbitro Federale di pallavolo indoor e di beach volley.

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