Finanza Pubblica Italiana: il punto di Paolo Turati

Finanza pubblica. Parliamo di Finanza pubblica italiana. Non sono molti gli Economisti che, come sostiene in modo indipendente il sottoscritto da tempo, non avendo (da modesto docente universitario a contratto) particolari posizioni personali o istituzionali da difendere, abbiano ad oggi fatta propria la tesi che non vi sia altra strada da percorrere per risanare la […]

Novembre 2017
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Finanza pubblica

Finanza pubblica.

Parliamo di Finanza pubblica italiana. Non sono molti gli Economisti che, come sostiene in modo indipendente il sottoscritto da tempo, non avendo (da modesto docente universitario a contratto) particolari posizioni personali o istituzionali da difendere, abbiano ad oggi fatta propria la tesi che non vi sia altra strada da percorrere per risanare la Finanza pubblica italiana che quella di fare prima o poi default per rimettersi in carreggiata.

La stessa UE ha recentemente ammonito, per l’ennesima volta, il nostro Governo. In merito e non di meno, si preferisce nascondere la testa sotto la sabbia da parte un po’ di tutti.

Dall’Esecutivo, che deve difendere la propria posizione politica, ai banchieri e assicuratori che sono pieni di titoli di Stato italiani in pancia. Fino ai demiurghi del Risparmio gestito e agli stessi  risparmiatori, loro terminale naturale.

Finanza pubblica italiana: l’avvento dell’Era dell’Euro.

Fra le varie gravi criticità che ha determinato in termini industriali e monetari, non si può negare che abbia generato un’opportunità unica ed irripetibile, per il nostro Paese, in termini di sistemazione del Debito pubblico.

Sono infatti circa 700 miliardi in conto interesse i risparmi dell’Erario a servizio del Debito pubblico. Grazie ai tassi più bassi pagati sul medesimo (oltretutto essendocisi potuti permettere di allungare la scadenza temporale dello stock dei titoli emessi di tre volte) ed alle garanzia implicita fornite dalla Bce.

E invece? Poco meno di vent’anni fa il Debito Pubblico ammontava a 1200 miliardi.

E, invece di far si che il risparmio di cui sopra servisse ad abbatterlo, si è “belli belli” arrivati ai 2400 miliardi di oggi. Incremento solo in parte dovuto alla crisi del 2008 e, per il resto, frutto di gravissima insipienza governativa di qualsivoglia colore.

E’ evidente che alla fine del Quantitative Easing o alla prima delle crisi finanziarie ricorrenti, quando i tassi d’interesse risaliranno, il nostro deficit annuo (che a livello primario è da sempre virtuoso ma che è lordato dagli interessi su un Debito pubblico di un Paese che cresce poco, ha perso tutta la propria industria, delocalizza sempre più per competere globalmente e invecchia sensibilmente lasciando pochi posti di lavoro per i giovani), il raggiungerà livelli insostenibili.

E succederà tutto in pochissimo tempo, senza che si possa governare il fenomeno. Attaccati, come indubbiamente si sarà, dalla speculazione globalizzata.

Ovviamente non si farà nulla sino ad allora (anche perché dovremmo avere il coraggio di uscire dall’Area Euro: immagino, salvo correzioni importanti da parte delle Istituzioni preposte, la “vita residua” massima in bonis del nostro Paese a livello di Finanza pubblica a non più di 5-7 anni) e quel 30% (equivalente, probabilmente sarà un caso, a quanto abbiamo perso in termini differenziali di crescita di ricchezza prodotta rispetto la Germania dall’avvento dell’Euro) di default sul Debito pubblico oggi necessario per rimetterci ordinatamente in carreggiata, diventerà magari anche un 40% non gestito e dominato dai mercati speculativi domani.

A forza di far finta di niente si farà (inevitabilmente) default, purtroppo, in modo “non governato”.

Leggi anche: Debito pubblico italiano: realtà sovvertita o celata da parte della S&P?

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