Debito pubblico italiano: realtà sovvertita o celata da parte della S&P?

Debito Pubblico Italiano: il punto. In un’epoca piena di incertezze e crisi economica, con lo spauracchio di un nuovo lockdown, in un anno in cui il PIL italiano è destinato a precipitare oltre il 9% (il deficit vola verso il 10% e il debito pubblico è in risalta dal 135% al 158%), la nota agenzia […]

Novembre 2020
4 Mins Read
69 Views
Debito Pubblico Italiano: cosa è cambiato dallo scenario del 2018 a quello del 2020?

Debito Pubblico Italiano: il punto.

In un’epoca piena di incertezze e crisi economica, con lo spauracchio di un nuovo lockdown, in un anno in cui il PIL italiano è destinato a precipitare oltre il 9% (il deficit vola verso il 10% e il debito pubblico è in risalta dal 135% al 158%), la nota agenzia di rating Standard & Poor’s decide di confermare il rating dell’Italia e, come se ciò non bastasse, anche di migliorare l’outlook da negativo a stabile.

Quanto accaduto appare inspiegabile: basti pensare che nell’Ottobre 2018, con un quadro economico-finanziario sicuramente più stabile, la stessa agenzia di rating revisionò l’outlook da neutrale a negativo.

Cosa è cambiato dallo scenario del 2018 a quello del 2020?

Alla base della attuale decisione di S&P vi sono in primis delle ragioni tecniche. La più importante riguarda le azioni messe in campo dal Tesoro Italiano che, negli anni, ha progressivamente allungato la maturità del debito in scadenza ogni anno, riducendo la pressione sulla finanza pubblica. Tuttavia però la vera ratio della decisione di S&P è da ricercare nel nuovo quadro economico-finanziario dell’Europa.

L’Europa in questa emergenza ha fatto sentire la sua presenza (cosa che non ha fatto nel 2018) con le misure di politica monetaria, in particolare il programma di acquisti di emergenza (PEPP) adottato in questi mesi dalla BCE. Grazie a questi programmi, secondo S&P, l’Italia sarà in grado di finanziarsi nei prossimi anni ad un tasso medio dello 0.8% vis-à-vis un tasso del 2.5% sullo stock esistente.

Altro tassello importante nel giudizio espresso dalla S&P lo gioca la creazione del Recovery Fund che, se pienamente utilizzato nelle sue due componenti, trasferimenti e prestiti, potrebbe significare per l’Italia risorse per un ammontare di oltre il 12% del PIL nel periodo 2021-2026.

Se da un lato l’Europa può aver giocato un ruolo fondamentale nel giudizio espresso dalla S&P, dall’altro è ben chiaro che gli analisti di S&P sanno perfettamente che l’Italia, anche in uno scenario positivo di crescita economica, è destinato a rimanere con livelli di debito ben più elevati degli attuali anche per gli anni a venire.

Perché nessuno sembra preoccuparsene?

Va ricordato che il Fondo Monetario ha più volte raccomandato di mantenere anche negli anni a venire una azione espansiva della politica fiscale, potendo continuare a contare su un ambiente di tassi molto bassi, e quindi su un costo di rifinanziamento del debito estremamente limitato o nullo. Non farlo contrarrebbe l’economia portando a un peggioramento della situazione.

Inoltre, il quadro di regole europee sul bilancio, meglio conosciuto come Patto di Stabilità, cioè l’adozione di regole stringenti per il consolidamento fiscale dei Paesi dell’Eurozona, è attualmente sospeso dagli inizi della pandemia.

Oggi quindi non esistono formali vincoli di bilancio per la zona Euro, se non quelli legati alla generale sostenibilità nel medio periodo dei debiti pubblici, garantita, come si è detto, dai tassi destinati a restare bassi per molto tempo.

Non solo, nella attuale valutazione del mercato, appare improbabile che il quadro europeo di finanza pubblica possa tornare in vigore nelle forme precedenti, ossia, il ripristino delle famose soglie del 3% di deficit annuo e del 60% di debito, anche se nell’ultimo periodo è stato avviato un processo di revisione di queste soglie. L’Europa ha bisogno di regole flessibili.

Processo di trasformazione strutturale?

In questi giorni, autorevoli economisti come Olivier Blanchard hanno suggerito di trasformare le “regole sul debito”, cioè il Patto di Stabilità, in “standard sul debito”, basate su un generale esame della sostenibilità del debito, con dinamiche specifiche per i singoli Paesi piuttosto che su parametri quantitativi prefissati e uguali per tutti.

Inoltre, in questo quadro di trasformazione, si aggiunge anche l’emissione sul mercato, a partire da queste settimane e per i prossimi anni, di diverse centinaia di miliardi di debito europeo ad alto rating. La prima emissione della Commissione Europea della scorsa settimana, destinata a finanziare il programma SURE per la lotta alla disoccupazione, ha visto un’offerta di 17 miliardi, a fronte di una altissima domanda, oltre i 230 miliardi.

Secondo alcuni economisti, gli effetti che potrà produrre sul debito nazionale questa massa di nuove emissioni non sono ancora chiari. Tuttavia gli stessi ipotizzano che da un lato potremmo assistere ad un effetto di spiazzamento, per cui il nuovo debito europeo drena la domanda di debito nazionale, dall’altro, però, la presenza stessa di debito europeo rende in realtà quello degli Stati membri più sostenibile.

Se i mercati cominciassero a fare questa distinzione?

Quasi sicuramente da un lato vi sarebbe il debito che l’Italia avrà verso il mercato, dall’altro il debito che, in aggiunta a quello già posseduto dalla BCE, l’Italia accumulerà verso le istituzioni comunitarie, come conseguenza dell’accesso ai programmi SURE, Recovery Fund, ecc. .

Questa distinzione tra debito “lordo” di un paese (ossia quello interno più quello verso l’UE) e debito “netto”, ossia solo verso il mercato, potrebbe in futuro diventare dirimente e consentire la sostenibilità del debito italiano.

Leggi anche: Finanza Pubblica Italiana: il punto di Paolo Turati

Exit mobile version