Il Problema: tra Socrate e Aristotele
Il contributo riflette le posizioni di Aristotele e Socrate sul concetto di problema e dialettica
Il Problema: le espressioni dei filosofi greci.
Nel contributo precedente abbiamo confrontato le nozioni di “problema” e di “filosofia” intese come ricerca. Emblematico in tal senso è il pensiero di Aristotele nel Protreptico, scritto giovanile di esortazione alla filosofia, in cui è ancor più chiaro proprio il legame fra ricerca e filosofia.
“Se, infatti, la filosofia esiste, dobbiamo certamente filosofare, dal momento che essa esiste; se invece non esiste, anche in questo caso dobbiamo cercare perché non esista: ma cercando facciamo filosofia, dal momento che la ricerca è la causa e l’origine della filosofia”.
Torniamo ora alla nostra domanda principale: cos’è un problema per la filosofia?
Possiamo collegare facilmente la nozione di “problema” con quella di dialettica, quest’ultima già presente nelle argomentazioni filosofiche a partire dal 5° secolo a.C.
“Dialettica” deriva dal greco διαλεκτικὴ (τέχνη), ovvero «arte dialogica», ed è proprio Socrate ad essere fautore del metodo κατὰ βραχὺ διαλέγεσϑαι, ossia «discutere per brevi domande e risposte».
La dialettica.
Lo sviluppo della filosofia greca ebbe un’importante stimolo con il passaggio dal mýthos al lògos. Lògos significa “parola, ragione, linguaggio, discorso”, ed è un tema ricorrente nelle dottrine di Eraclito, Platone ed Aristotele.
Come conciliare ragione e discussione, e come si innesta tutto ciò nei meandri della filosofia?
A questo scopo procediamo inizialmente con l’esporre per l’appunto un próblema, che in greco significa “ostacolo”. Un “intralcio” che è dunque posto davanti alla nostra strada e quindi da affrontare, di cui bisogna renderne conto.
Il problema apre poi ad una fase di formulazione di una domanda, propedeutica ad un’ulteriore fase di ricerca della soluzione. Inizia così l’impulso dialettico. Da qui in poi entriamo nel cuore della discussione. Essa prevede due figure fondamentali, l’interrogante ed il rispondente.
Il ruolo dell’interrogante è proprio quello di porre in essere la domanda, a cui il rispondente ribatte con una tesi, ovvero un’interpretazione del problema stesso. Successivamente l’interrogante ha il compito di ricavare, in risposta alla tesi del rispondente, una proposizione che contraddice la tesi stessa. Quest’ultima proposizione comunque deve essere estrapolata dalla domanda iniziale.
Abbiamo descritto brevemente l’inizio del contraddittorio, da cui solo uno dei due ne uscirà vincitore. Risulterà vincente o l’interrogante se sarà in grado di mostrare come vera la proposizione che contraddice la tesi, oppure il rispondente se sarà capace di evitare la confutazione della propria tesi.
Questo confronto fra due parti, inteso come lotta viva ed orale, intrapreso di persona, viene declinato da Platone in una dimensione più letterale, come se fosse una sorta di simulazione.
Il pensiero socratico.
Il precursore del procedimento poc’anzi indicato è sicuramente il grande filosofo ateniese Socrate. Questo metodo non è mai fine a sé stesso, mero esercizio intellettuale.
Constatiamo innanzitutto che Socrate per primo professava più che altro ignoranza, a differenza dei Sofisti che professavano invece sapienza.
“Impegno molto più bello é quando uno, servendosi dell’arte dialettica, prendendo un’anima adatta, vi pianta e vi semina con scienza discorsi che sono capaci di venire in aiuto a se stessi e a chi li ha piantati, e che non sono infruttiferi, ma hanno in sé germi donde scaturiranno altri discorsi piantati in altre persone, discorsi capaci di produrre questi effetti senza mai venir meno e di rendere felice chi ne possiede il dono, per quanto all’uomo é possibile.”
Questa citazione proviene dalle celebri pagine del Fedro platonico. Studiando in profondità il pensiero socratico, di certo non troveremo mai in esso pretese di inculcare dottrine. Socrate ha il solo obbiettivo di far pensare le persone con la propria testa e dunque formare se medesimi.
Il metodo di Socrate.
Il discorso tipico di Socrate mirava pertanto allo stimolo dell’interlocutore, in maniera tale da fargli sondare le proprie concezioni ed il proprio sapere. Il mezzo per eccellenza utilizzato a questo scopo di ricerca è l’ironia, in cui approdava il riconoscimento della propria ignoranza.
L’ironia (eirōneía) di Socrate non è un atteggiamento giocoso, ma è seriamente volto a rimettere sempre tutto in discussione, a rimarcare contraddizioni nelle risposte di chi era in precedenza tanto sicuro di sé.
Quindi l’ironia costituisce l’inizio dell’esame socratico che porta al dubbio, allo spoglio delle verità dell’interlocutore, che è spesso un sapere fittizio. La confutazione ἔλεγχος (èlenchos) qui la fa da padrona, sospinta dalla tipica domanda “che cos’è…?” (ti estì?).
Ben presto l’interlocutore di Socrate infatti, prima sicuro delle proprie conoscenze, sotto l’incalzante e rapida sequenza di domande e risposte dapprima approfondisce ed arricchisce le proprie affermazioni.
Dopodiché esso entra in contraddizione e non fornisce più coerenza alle proprie idee, insomma entra in un vicolo cieco. Socrate non vuole tortuose e lunghe spiegazioni nelle sue risposte. Egli desidera concentrare il sapere in frasi brevi e coincise, e se l’interlocutore ha difficoltà, propone lui stesso delle definizioni.
Il percorso socratico, definito per l’appunto “elenctico”, non ha come scopo preciso quello di contraddire una tesi in particolare. D’altro canto giunge alla conclusione che non possono essere valide contemporaneamente tutte le tesi ribadite.
Nonostante ciò, resta il fatto che non si può con certezza nemmeno escludere dal discorso questa o quella precisa affermazione specifica. Il vicolo cieco summenzionato assume un nome preciso: aporìa.
L’aporia nel contesto filosofico è la presentazione, nella soluzione di un certo problema, di due o più condizioni in ugual modo ragionevoli ma comunque incompatibili. Questo status è tipico di moltissimi dialoghi socratici.
Aristotele.
Ritroviamo ulteriori sviluppi nel grande pilastro della filosofia di Aristotele. Lo Stagirita desidera conciliare questa dialettica antica appena descritta con la scienza. In una cultura non più affidata all’oralità che contraddistingueva Socrate e, in senso lato, Platone, la nozione di scienza deve essere intesa non certo nel senso moderno galileiano come lo conosciamo oggi.
La scienza in questo caso specifico è un concetto di conoscenza in grado di non cambiare continuamente nel meccanismo della molteplici opinioni. Ovvero, un sapere chiaro, basato su salde e incontrovertibili fondamenta e sull’evidenza. La scienza, in greco epistéme, secondo Aristotele assume dei principi necessari, ovvero veri nella maniera più assoluta.
La dialettica invece comporta l’assunzione di principi probabili, ovvero fondati su opinioni (δόξα, dòxa), Dunque basati su elementi che “sembrano accettabili a tutti o ai più o ai saggi e tra questi o a tutti o ai più o a quelli più noti ed illustri”.
“Mi ero assunto il compito di trovare un metodo, che ci mettesse nelle condizioni di trarre conclusioni riguardo ad una proposizione data, muovendo da opinioni generalmente riconosciute. Questo, infatti, è il compito della dialettica, considerata in quanto tale, ma anche della scienza”.
La citazione è presa dal libro IX dei Topici, i quali hanno per oggetto proprio la dialettica e sono a buon diritto i primi fondamenti della logica aristotelica, formulati sotto l’influenza del platonismo.
Il procedimento aristotelico.
Il punto di partenza per trovare un terreno comune fra dialettica e scienza è sempre proprio la formulazione di un problema. I problemi derivano dalla sfera del probabile che trova supporto nella dialettica.
Essi sono costituiti da una domanda che può avere due risposte in contraddizione fra di loro. Non hanno origine né da dove si deducono conseguenze necessarie da premesse necessarie (leggi ambito della scienza); né provengono dal campo delle cose non accettate da nessuno.
Per Aristotele formulare un problema significa porsi inizialmente una domanda del genere: “qualcosa è cosi oppure è cosi”?
Esempio: “il tempo è movimento oppure qualcosa di diverso dal movimento”?
Dopodiché il secondo passaggio è creare una proposta, una tesi del tipo “A è B”.
Seguendo sempre questo nostro esempio magari diremmo che “il tempo non è movimento”.
Ora dobbiamo render ragione di questa tesi e confutarne la negazione.
Nasce cosi la discussione, condotta non più secondo i canoni socratici, il quale ribatteva sempre il non saper nulla, ma sostenendo in maniera decisa ed argomentando caldamente la tesi proposta.
Scaturiva da ciò una serie di premesse, accettate come evidenti, da cui trarre poi delle conseguenze necessarie e compatibili a livello logico.
Dunque, sottoponiamo, secondo Aristotele, delle opinioni – fornite da dei predecessori o dal “senso comune” – al vaglio della discussione dialettica.
Tutto ciò per mezzo di un fitto susseguirsi di proposizioni ed obiezioni, che ha come risultato finale la definizione dell’evidenza di un certo principio.
Questo principio avrà poi il compito di essere una base per delle successive dimostrazioni. Quindi, ulteriori affermazioni non immediatamente evidenti devono ricondursi proprio all’evidenza di ciò che è stato acquisito come principio.
L’ultimo passaggio descritto assume propriamente il carattere di scienza, passo successivo al procedimento dialettico.
La scienza aristotelica.
La scienza aristotelica perciò si assume l’impresa di mostrare se, posto in essere un determinato principio come risultato finale della dialettica, altre successive affermazioni sull’argomento siano poi legate o no al principio stesso.
In caso positivo, l’affermazione è dimostrata ed è quindi vera; al contrario, l’affermazione viene rigettata come non vera. La dialettica viene posta da Aristotele in un piano inferiore rispetto alla scienza, contrariamente al suo maestro Platone, il quale per l’appunto definiva la dialettica come scienza filosofica per eccellenza.
Conoscenza e problema sono grandi temi che non hanno solo acceso la mente di Aristotele, ma anche altri filosofi della scienza ed altri campi del sapere, come la matematica. Nel prossimo contributo vedremo come si conciliano la nozione di problema e di matematica.
Leggi anche: Problemi e filosofia
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