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Europa Indivisibile: il ruolo possibile dell’Italia

Europa Indivisibile: chissà se una Europa all’italiana sia un sogno realizzabile.

Europa Indivisibile: chissà se una Europa all’italiana sia un sogno realizzabile.

Una Europa indivisibile davvero; costituzionalmente parlando si intende. Eppure la nostra Carta fondamentale (in termini giuridici) fa invidia al mondo intero. Diciamolo una volta per tutte: abbiamo la Costituzione più bella al mondo!

Non siamo gente intellettualmente povera quindi. Non lo siamo stati neanche di fronte alle tragedie più grandi della storia. Abbiamo dimostrato di esser un grande popolo in ogni campo: nelle arti, nelle scienze, nello sport, nella solidarietà, nel lavoro, nella culinaria. Non manca altro, forse.

Che ruolo può giocare la politica contemporanea per una Europa indivisibile?

“Chiamare i deputati ed i senatori «rappresentanti del popolo» non vuol più dire oggi quello che con questa frase si voleva dire in altri tempi: si dovrebbero piuttosto chiamare impiegati del loro partito.

  • Questa frase del celebre giurista Pietro Calamandrei può dirsi ancora attuale?
  • Può essere considerata valida per la società italiana di quest’epoca?

Ecco c’è un senso di profonda relazione tra essere “rappresentanti del popolo” ed essere “impiegati di partito”. Come concetti, a pensarci bene, non possono che essere due facce della stessa medaglia.

Cambiano le generazioni, ma non la indentitarizzazione (mi si faccia passare il termine) nel tempo. Oggi però siamo ostaggio del multiculturalismo globalizzato. Si, siamo ostaggio di un’epoca che, però, abbiamo voluto fortemente. L’abbiamo sognata per decenni ed alla fine è arrivata.

  • Essere ostaggio di ciò va considerato un aspetto negativo o positivo dell’attualità?
  • O possiamo dire che è cosa buona considerarli validi entrambi ed allo stesso modo?
  • La rinuncia a pezzettini della propria cultura è il prezzo giusto da pagare per una pace duratura tra i popoli?
  • Una Europa indivisibile è la soluzione alle separazioni culturali anche al di là dei confini materiali degli Stati membri?
  • Può l’Italia essere la base dell’identità Europea nuova alla luce della Brexit, della fine dell’era Merkel e della crisi Macron?

Insomma una serie di domande a cui va cercata quotidianamente una singola risposta e forse con tanta riflessione che mai è abbastanza. È compito anche dei giuristi dare una mano. Questi ultimi hanno, più di tanti altri, un dovere interpretativo nell’ammodernamento del processo culturale di una società.

Abbiamo tutti un grande dovere: far diventare l’Italia contemporanea, il faro europeo nei processi di integrazione culturale degli altri popoli aderenti perché senza Italia non ci può essere Europa. Men che meno sul piano dei diritti.

Nel passato, il più delle volte, il nostro paese ha dovuto adattarsi ai condizionamenti delle grandi potenze mondiali pur essendo nel G7, G8 e tante altre aggregazioni.

La cultura, però, è un valore assoluto ed ha un ruolo ben diverso rispetto alla politica. La cultura è qualcosa che scardina ogni potere perché è l’essenza stessa della identità delle genti.

La politica moderna, perciò, può svolgere una funzione determinante di garanzia solo se diventa consapevole del proprio ruolo imprescindibile a tutela delle identità. Ecco come l’una è la parte complementare dell’altra e viceversa.

È altrettanto vero che i partiti tradizionali per come vissuti nella prima Repubblica sono finiti… ma non è morto il partitismo.

  • Senza il partitismo che Italia sarebbe?
  • Senza il partitismo come potrebbe esserci l’Europa?
  • D’altronde essere Stato membro non è di per sé essere partito?
  • Senza questo filtro come può organizzarsi la rappresentanza del cittadino nelle sedi decisionali?
  • Come può legittimarsi una comunità di Stati con radici politico-costituzionali diverse, se non si (ri)parte da ciò che ci unisce nel profondo?
  • Può una dichiarazione solenne di Europa indivisibile essere lo strumento ad hoc che sino ad oggi è mancato?

È chiaro che per rispondere a tali esigenze ontologiche e connaturate alla società stessa occorre letteralmente “impiegarsi” in una aggregazione (partito o movimento) e di riflesso per una aggregazione (ideale comunitario?).

La frase di Calamandrei non può che tornare più viva che mai e suonar più forte in questo momento storico perché vuole ricordarci che la politica è la fonte dei diritti e che quest’ultimi non sono altro che la politica stessa. Il tutto è come una molla tirata dalle due estremità a seconda di cosa abbia più necessità di esprimersi temporalmente.

L’Europa parrebbe essere proprio come la molla di cui sopra: tirata a più non posso da coloro che non si accorgono che al di là della stessa, laddove si rompesse davvero, non rimangono che la Russia o gli U.S.A.. La libertà di esistere in maniera “incondizionata”, tuttavia, implica una doverosa coesistenza che implicitamente riconosce alla base un “condizionamento”.

Ma condizionamento vuol dire non essere indipendenti?

Sembrerebbe un po’ come la legge dei vasi comunicanti perché, per essere effettivamente liberi rappresentanti del singolo popolo, occorre ammettere che la cultura del partitismo non può morire, ma adattarsi ai tempi che si evolvono tanto quanto fa, ad esempio, la Costituzione italiana che ne legittima una esistenza necessaria (potremmo quasi definire meglio questa relazione come una “attualizzazione alla attualità”).

Se questa può esser la chiave di apertura ad una nuova era di coesistenza e coesione, sempre se si è forti della propria intangibile identità, non bisogna aver paura del multiculturalismo (quello sano intendiamoci) perché esso è alla base dei rapporti umani, sociali ed istituzionali.

A pensarci bene, la stessa cosa avviene da ormai più di un secolo nel nostro paese: la dichiarata Unità d’Italia è avvenuta tra Nord e Sud che avevano storia, linguaggi, tradizioni ed identità radicalmente diverse tra loro.

Eppure oggi è ancora l’Italia. Siamo ancora Italia.

Nulla è tramontato se riusciamo a guardare oltre il divisionismo (per usare un termine artistico).

  • L’idea di Europa “indivisibile”, come lo è la Repubblica Italiana (art. 5 Cost.), può essere il nuovo obiettivo di politica costituzionale comunitaria per garantire tutto e tutti?
  • Può il nostro passato, visto sotto un’ottica più moderna, essere la chiave di volta per un futuro migliore?

Su una scala geografica più grande l’Europa non può disconoscere di aver bisogno dell’Italia purché la politica attuale sappia essere rappresentativa e riscoprirsi “impiegata” nell’accezione più nobile.

L’essere al servizio del popolo (il quale a sua volta, come detto, si esprime mediante i partiti stessi) non significa per forza di cose essere supinamente comandati da quest’ultimo o subirne volontariamente e comodamente i flussi di tendenza elettorale, ma interpretarne il ruolo in termini di indipendenza intellettuale individuale (parlamentare ad esempio) nel rispetto della interdipendenza delle aggregazioni (partito o movimento ad esempio).

  • Il modello italiano, quindi, renderebbe davvero migliore la vivibilità della dimensione europea?
  • Può ripensarsi all’Europa in termini nuovi, ora come ora, con tutti i tempi ed i costi che ne potrebbero derivare?
  1. Questa nuova identità europea (all’italiana) potrebbe dare un senso vero al concetto di libertà dei popoli nei confini comunitari ponendo l’Italia stessa nel ruolo di garante a questo punto?

Probabilmente, anzi certamente, il celebre Calamandrei ci aiuta a tal proposito. Egli affermava che “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”. E se in Europa mancasse l’Italia, mancherebbe l’aria. Costituzionalmente parlando si intende.

Leggi anche: Democrazia: baluardo utopico

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