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Qatar 2022: il Mondiale della vergogna

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La manifestazione iridata in programma in Qatar il prossimo novembre è sporca di sangue ma nessuno lo dice.

I lavoratori migranti sono al centro della realizzazione del sogno del Qatar di ospitare la Coppa del Mondo FIFA 2022. Ma 10 anni dopo che la FIFA ha assegnato il torneo all’emiro, migliaia di loro vengono ancora sfruttati da datori di lavoro senza scrupoli. Più di 6.500 lavoratori migranti provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka sono morti in Qatar da quando il paese mediorientale ha ottenuto il diritto di ospitare la Coppa del Mondo.

Lo rivela il Guardian citando fonti governative. Secondo il quotidiano inglese, una media di 12 lavoratori migranti provenienti da queste cinque nazioni dell’Asia meridionale sono morte ogni settimana dal dicembre 2010, quando per le strade di Doha si celebrava l’assegnazione della manifestazione al Qatar.

I dati provenienti da India, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka hanno rivelato che ci sono stati 5.927 morti di lavoratori migranti nel periodo 2011-2020.

Separatamente, i dati dell’ambasciata pakistana in Qatar hanno riportato ulteriori 824 lavoratori morti tra il 2010 e il 2020. Il bilancio totale delle vittime potrebbe però essere significativamente più alto. Queste cifre non includono i decessi di un certo numero di lavoratori provenienti da altri Paesi come Filippine e Kenya.

Infarti, insufficienze respiratorie acute, cause naturali. I certificati di morte rilasciati dalle autorità qatariote per i decessi dei lavoratori stranieri sono ripetitivi e sbrigativi. E non appaiono come il risultato di indagini serie.

I morti infatti sono giovani che non rientrano nella fascia di età dove più comunemente si registrano malattie cardiovascolari. Non può non generare sospetti il fatto che parecchi dei lavoratori migranti morti per «arresto cardiaco» fossero impiegati della costruzione degli stadi.

Oggi, mentre la FIFA si prepara ad incassare introiti faraonici dalla Coppa del Mondo, migliaia di lavoratori migranti stanno ancora soffrendo per far sì che tutto sia pronto.

Le recenti riforme lavoristiche qatariote non vengono correttamente attuate o applicate. In sostanza, molte aziende non pagano ancora adeguatamente i propri dipendenti o non li tutelano come imporrebbe la legge.

I datori di lavoro hanno un controllo esclusivo sulla vita dei lavoratori. Possono costringerli a lavorare un numero di ore eccessivo o impedire loro di cambiare lavoro. Inoltre, quando lo sfruttamento della manodopera viene accertato, è molto difficile ottenere giustizia o equi risarcimenti. Persiste il divieto di aderire ai sindacati, quindi la sostanziale impossibilità di lottare collettivamente per migliori condizioni di lavoro.

Quando la FIFA ha assegnato il mondiale al Qatar sapeva – o avrebbe dovuto sapere – dei rischi intrinseci nell’ospitare il torneo. L’enorme carenza di infrastrutture e la conseguente forte dipendenza del Paese dai lavoratori migranti e del grave sfruttamento che essi devono affrontare.

Sono gli “scafisti” dei migranti del Mondiale 2022 in Qatar. I lavoratori asiatici immigrati nel ricco Qatar hanno operato in condizioni pessime, sotto il sole estenuante e miseramente sottopagati. Emerge che molti migranti sono stati costretti a pagare tariffe e quote altissime per iniziare a lavorare nell’Emirato. Cifre ben più elevate rispetto ai loro poveri salari.

Sembra assurdo.

Perché pagare così tanto per poi guadagnare poche centinaia di euro al mese e nel frattempo costruire a Doha le strade, le piazze, le reception, le discoteche e gli stadi del Mondiale 2022, tra l’altro il primo invernale e nel deserto?

Secondo il The Guardian, il problema è che nei Paesi di provenienza dei migranti, come Bangladesh e Nepal, il lavoro è molto scarso e ancora più sottopagato. Dunque, paradossalmente, molti di questi emigranti accettano di indebitarsi pesantemente per arrivare comunque in Qatar e poi racimolare quello che possono sul posto.

Le cifre sono sconfortanti. Secondo il quotidiano inglese, i migranti dal Bangladesh, per esempio, in genere pagano tra i tremila e i quattromila dollari soltanto per riuscire a ottenere un visto e un lavoro per il Qatar tramite sconosciuti intermediari, mentre quelli del Nepal tra i 1.000 e i 1.500 dollari.

E pensare che la paga mensile per questo tipo di operai, muratori e carpentieri nell’emirato, è pari a 275 dollari, ossia 250 euro circa.

Risultato: per coprire la quota di “iscrizione” iniziale, questa manodopera a buon mercato colma il debito con un anno di lavoro o più. Per poi iniziare a guadagnare, ma molto limitatamente.

Si calcola che, per esempio, tra 2011 e 2020 i migranti bengalesi in totale abbiano versato tra 1,5 e 2 miliardi di dollari come anticipi ai “mercanti” dell’immigrazione, mentre i nepalesi tra i 320 e i 400 milioni nell’arco di tempo tra 2015 e 2019.

Citiamo questi Paesi perché compongono un terzo dei due milioni dei lavoratori stranieri e temporanei impegnati in Qatar, che per la cronaca ha meno di tre milioni di abitanti.

Eppure, da qualche anno, il Qatar, dopo alcune critiche e accuse dalle associazioni per i diritti umani, per legge vieta queste costose pratiche di reclutamento. Tuttavia, vengono facilmente aggirate prima che il migrante avvii effettivamente il processo di immigrazione formale a Doha e, come si racconta sempre sul Guardian, sono abitudini piuttosto comuni nei Paesi del Golfo.

Una sorta di “schiavismo” moderno, più subdolo di quello storico, in cui i migranti sono costretti a lavorare a lungo e a certe condizioni per ripagare i debiti contratti.

Il governo qatariota ha risposto che le agenzie coinvolte in questo traffico di migranti sono state “severamente punite” sinora e a 24 di queste è stata revocata la licenza:

“Il Qatar è seriamente impegnato a porre fine a queste pratiche”, ha sottolineato Doha, rimarcando la sua estraneità. Secondo l’avvocato difensore dei diritti umani nepalese Barun Ghimire, oltre 6.500 migranti impiegati nel settore della costruzione sono morti in Qatar dal 2010.

La FIFA ha la chiara responsabilità di agire, quando i lavoratori dei progetti connessi allo svolgimento del Mondiale sono a rischio di sfruttamento sul lavoro. Un organismo mondiale deve usare la sua influenza per sollecitare il Qatar a proteggere adeguatamente tutti i lavoratori migranti.

Sebbene siano stati compiuti progressi sui diritti dei lavoratori, gli abusi in corso mostrano che Qatar e FIFA devono fare molto di più affinché la Coppa del Mondo lasci un’eredità positiva.

Le gaffe del Presidente FIFA Gianni Infantino non sono certo una novità, ma la più recente, andata in scena a Los Angeles, riguardo alle precarie condizioni di sicurezza e salute garantite agli operai addetti in Qatar, rischia di essere una delle uscite a vuoto più clamorose.

Il numero uno del calcio mondiale, alla domanda dei cronisti di Associated Press riguardo a se e come la FIFA avrebbe utilizzato i suoi profitti per assumere qualsiasi tipo di impegno per aiutare le famiglie dei lavoratori morti per realizzare gli impianti nei quali si giocheranno le partite di Qatar 2022, ha replicato argomentazioni discutibili e destinate a provocare enormi polemiche:

“Non dimentichiamo una cosa, stiamo parlando di lavoro, anche un duro lavoro. L’America è un paese fondato sull’immigrazione e anche i miei genitori sono emigrati dall’Italia alla Svizzera. Quando dai lavoro a qualcuno, anche in condizioni difficili, gli dai dignità e orgoglio. Non è carità, tu non fai beneficenza”.

Aver costruito gli stadi dove si disputeranno i Mondiali è anche una questione di orgoglio e di aver potuto cambiare le condizioni di questi 1,5 milioni di persone. Questo è qualcosa che rende orgogliosi anche noi”.

“6000 morti? FIFA non è la polizia del mondo, ma abbiamo dato lavoro a 1,5 milioni di persone”.

Infantino ha anche ridimensionato i numeri e le accuse. Secondo il numero uno della FIFA solo tre persone sono morte nei cantieri degli stadi. Ognuno può farsi la propria opinione sulle parole di Infantino, ma di certo deve far riflettere la scarsa eco mediatica delle tragedie sociali sopra descritte.

Le ingiustizie ignorate dalla stampa mainstream e consumatesi sotto gli occhi di un mondo consumato dalla sua stessa indifferenza. Un motivo in meno per recriminare circa la mancata partecipazione degli azzurri alla manifestazione mondiale. Senza dubbio la più indegna del dopoguerra.

Leggi anche: I migranti e la caduta dell’Impero Romano d’Occidente

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Luigi Risucci

Public Servant, Editor, Lawyer

Luigi nasce a Matera nel 1990. Dopo la maturità classica, si laurea in Giurisprudenza nel 2015. La passione per la legge lo porta alla Specializzazione in Diritto Internazionale e Umanitario conseguita, col massimo dei voti, nel 2017 ed al titolo di Avvocato brillantemente conquistato nel 2018. Tra università e master vince otto borse di studio in altrettanti anni. Editorialista presso una testata giornalistica sportiva nazionale dal 2014, è arbitro di calcio presso la Sezione di Nichelino (TO). Dal 2019 vive a Torino, dove lavora come Funzionario dello Stato. Ama in maniera viscerale lo sport, i viaggi, la buona cucina ed il contatto con la natura.

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