La situazione energetica italiana
La situazione energetica italiana: il punto di Ettore Ruberti. Negli ultimi anni ha assunto sempre maggiore criticità la problematica energetica, sia a causa delle ricorrenti crisi geopolitiche, che dell’acuirsi delle problematiche ambientali, inoltre il consumo dei combustibili fossili, in particolare petrolio e metano, continua ad aumentare in maniera massiccia a livello globale, e ciò ovviamente […]
La situazione energetica italiana: il punto di Ettore Ruberti.
Negli ultimi anni ha assunto sempre maggiore criticità la problematica energetica, sia a causa delle ricorrenti crisi geopolitiche, che dell’acuirsi delle problematiche ambientali, inoltre il consumo dei combustibili fossili, in particolare petrolio e metano, continua ad aumentare in maniera massiccia a livello globale, e ciò ovviamente causa un continuo aumento dei prezzi. Questo stato di cose mette l’Italia in una situazione estremamente precaria, sia sul fronte dell’approvvigionamento, che su quello della competitività economica.
Bisogna oltretutto considerare che il nostro Paese ha ratificato gli accordi di Kyoto, per cui è costretto a cercare di portare il livello di emissioni di CO2 entro il 2010 ai livelli del 1990, anche se questo appare utopistico, anche in considerazione del fatto che, nonostante la contrazione dei consumi durante il periodo determinato dall’emergenza Covid19, il consumo energetico è già superiore a quello del 1990.
Ovviamente, quanto sopra esposto, ci porta a considerare le possibili alternative all’attuale scenario energetico nazionale, basato in massima parte sull’utilizzo di gas naturale, petrolio e derivati, anche in relazione all’esborso sempre maggiore che il cittadino è costretto a sostenere per i consumi domestici, e le industrie per l’energia necessaria alla produzione e, con sempre maggiore difficoltà, a competere con i concorrenti degli altri Paesi che pagano l’energia un prezzo nettamente minore, nonché con Paesi acquirenti di combustibili fossili, disposti ad un esborso maggiore. Senza ovviamente dimenticare che il costo del metano è anche legato alla crisi determinata dalle conseguenze della crisi con la Russia dovuta all’appoggio dato all’Ucraina.
Anche la “liberalizzazione” del mercato energetico mi sembra deleteria per il cittadino, poiché le aziende che producono energia e le reti di distribuzione sono a capitale pubblico o semi pubblico, mentre le società che vendono energia, che ci tempestano di telefonate e mail, non fanno altro che da tramite, ovviamente con un sovraccarico sulle bollette. E non mi si venga a raccontare che ce lo impone l’Europa: negli altri Paesi europei la privatizzazione è altra cosa, basandosi sulla concorrenza fra produttori, mentre qualcuno mi dimostri, a titolo di esempio ma significativo, se l’EDF francese si avvale di terzi per vendere energia.
Abbandono del nucleare.
Il nostro Paese ha deciso sciaguratamente di chiudere le quattro centrali elettronucleari di cui disponeva, disperdendo un pregevole capitale industriale ed umano, importando beninteso il 14 del suo fabbisogno di elettricità, prodotta con il nucleare, da Francia, Slovenia e Svizzera, pagando anche l’utilizzo della rete elettrica austriaca, peggiorando ulteriormente la sua già disastrata situazione energetica.
Non dimentichiamo che l’Italia importa l’ottantaquattro per cento del suo fabbisogno energetico, rendendosi oltretutto estremamente vulnerabile nel caso di crisi energetiche come verificatosi attualmente… Ne va dimentichiamo che il petrolio raggiungerà presto (se non lo ha già fatto) il picco della curva di Hubert, ossia l’aver estratto il cinquanta per cento delle riserve conosciute, escludendo i petroli bituminosi che comunque già si stanno utilizzando (vedi l’esempio del Canada), mentre il gas naturale raggiungerà questo picco prossimamente, tanto che è già diffusa la tecnologia del fracking, ossia la frantumazione delle rocce per estrarlo dove non è possibile utilizzare i metodi tradizionali.
Ne va sottovalutato l’andamento della richiesta energetica a livello mondiale, che come già rilevato, è caratterizzato da una crescita significativa, sia per l’aumento della richiesta da parte dei Paesi maggiormente sviluppati, che per la crescita esponenziale dei consumi in Paesi come la Cina e l’India, nonché l’aumento della richiesta da parte dei Paesi in via di sviluppo. Non dimentichiamo, infatti, che un indice per valutare lo sviluppo di un Paese è rappresentato dall’incremento della sua domanda energetica, anche se in misura minore che in passato.
Un punto che deve farci riflettere è rappresentato dal fatto che gli accordi di Kyoto sono stati sottoscritti, ma non rispettati almeno sinora, solo dai Paesi dell’Europa occidentale e dalla California, che immettono in atmosfera lo 0,7del totale delle emissioni prodotte a livello mondiale.
Energie alternative.
Nel nostro Paese si continua a parlare di energie alternative ma, si privilegiano soprattutto solare fotovoltaico ed eolico, caratterizzati da bassa intensità energetica ed intermittenza della disponibilità, fattibili solo con un notevole contributo pubblico che, ovviamente viene caricato sulle bollette energetiche, già le più alte d’Europa e gravate dalle accise maggiori, senza contare che si paga anche l’IVA sulle accise, cosa peraltro incostituzionale poiché secondo la Costituzione non si può parate un’imposta su una tassa.
Anni fa l’ENEA aveva inaugurato, in collaborazione con l’ENEL, un impianto solare termodinamico ad alta efficienza a Priolo San Gallo (Siracusa), nell’ambito del progetto solare termodinamico che l’Ente sta portando avanti. Si tratta per ora di un impianto sperimentale e non è dato sapere se e quando si realizzeranno impianti in misura necessaria al Paese, sia per produrre energia elettrica che per produrre idrogeno.
Quindi, per quanto concerne la diffusione delle fonti solare ed eolica, occorre valutare attentamente le possibilità, rendendosi conto che si tratta di centrali “integrative” e non alternative alle tradizionali.
Negli ultimi decenni, sono state costruite alcune centrali a ciclo combinato, ad alta efficienza, funzionanti a gas naturale. Va anche sottolineato che, dopo aver puntato decisamente sulla diffusione del gas naturale, formato principalmente da metano, si assiste continuamente all’opposizione alla costruzione di metanodotti e rigassificatori: evidentemente, per i politici è più importante cavalcare le opposizioni dei cittadini per timore di perdere voti, che preoccuparsi della sicurezza energetica.
L’utilizzo del metano è molto meno impattante sull’ambiente e come emissioni rispetto al carbone ed al petrolio, ma si tratta comunque di un idrocarburo e, come tutti gli idrocarburi, costituisce un potentissimo gas serra: secondo quanto riportato in letteratura e 44 volte più efficiente dell’anidride carbonica ma, poiché il suo ciclo nell’atmosfera dura la metà, è “solo” 22 volte maggiore. Un evento molto critico concernente il metano, che già si sta verificando nel permafrost, è lo scioglimento degli idrati di metano. Infatti la maggior parte del metano presente sulla Terra è sequestrato negli idrati di metano, ossia clatrati (gabbiette di ghiaccio) contenenti metano allo stato liquido.
Gli idrati di metano contenuti nel permafrost si stanno già sciogliendo, come scritto più sopra, ma il grosso di questi si trova sul fondo degli oceani, alla base delle scarpate continentali. Ora, il legame chimico del ghiaccio d’acqua è molto forte, ma gli studi effettuati dimostrano che, se viene portato a meno di 450 metri dalla superficie, si scioglie. Questo fenomeno si è già verificato 255 milioni di anni fa causando la più grave delle estinzioni biologiche che si sono succedute sul nostro pianeta, quella verificatasi alla fine del Permiano, grazie al fatto che la temperatura media si è innalzata da 40 a 60 °C. Lo sappiamo dalle analisi delle rocce. Allora gli idrati sono stati portati verso la superficie degli oceani dall’anidride carbonica proveniente dai vulcani.
Tutto questo mentre anche in Paesi in via di sviluppo (come la Cina) partono progetti ambiziosi per l’utilizzo di fonti alternative. Eppure il nostro Paese si presta ottimamente per lo sfruttamento dell’energia solare termodinamica e, in misura minore, per lo sviluppo di coltivazioni per la produzione di biocarburanti, anche se in quest’ultimo caso, sarebbe più logico puntare sul biogas, in particolare partendo dagli scarichi agricoli.
Come noto, è possibile coltivare piante allo scopo di ottenere etanolo che, utilizzato da solo o in percentuale del 5% con i combustibili tradizionali, consente un significativo miglioramento in termini di emissioni. Infatti, oltre l’ovvia constatazione che l’utilizzo di prodotti vegetali provenienti da coltivazioni presenta un bilancio neutro come emissioni (nel senso che i prodotti della combustione vengono poi sequestrati dalla successiva coltivazione, realizzando un ciclo chiuso), ovviamente bisogna sommare la quantità di energia necessaria alla coltivazione,, nel caso dell’utilizzo di tali prodotti come additivi, si ottiene una riduzione significativa di emissioni inquinanti.
Nel caso della benzina chiamata impropriamente verde, con il bioetanolo la riduzione delle emissioni di idrocarburi aromatici, come il benzene, è del 50%, di anidride solforosa del 70%, mentre riduzioni più modeste, ma comunque significative, si hanno per le polveri sottili ed il particolato. Se a questo aggiungiamo che si stanno affacciando sul mercato da qualche tempo veicoli ibridi, dotati cioè di un motore elettrico che sfrutta la carica della batteria nei momenti di utilizzo intermittente (come ad esempio nel traffico cittadino), possiamo renderci conto che la sinergia fra queste tecnologie potrebbe consentire un notevole risparmio nel consumo dei combustibili fossili ed un miglioramento della qualità dell’aria nelle nostre città.
Diverso è il discorso relativo ai pannelli solari termici, utilizzati per l’acqua sanitaria e per il riscaldamento; questi possono essere ammortizzati in cinque anni e, probabilmente in un prossimo futuro anche in minor tempo, stante il continuo aumento del costo del metano. A questo punto mi sembra il caso di sottolineare che, un problema particolarmente acuto nel nostro Paese, è rappresentato dal rifiuto pressoché totale degli italiani all’ubicazione di qualsivoglia impianto, in particolare delle centrali energetiche, nei pressi delle proprie abitazioni.
Questo atteggiamento, spesso cavalcato da politici senza scrupoli, nonché dei loro vassalli pennivendoli, porta ad allungare i tempi già biblici della costruzione di nuove centrali. In Italia, in misura maggiore che in altri Paesi, vige il principio non scritto secondo cui ogni problematica nazionale si deve risolvere da qualche altra parte, principio che è generalmente definito NIMBY (inglese per Not In My Back Yard, “Non nel mio cortile”). Principio che contribuisce enormemente al ritardo nella risoluzione della problematica energetica. Per citare un caso emblematico in questo contesto, possiamo ricordare l’opposizione persino verso le centrali geotermiche, che pure in Toscana coprono un quarto della richiesta di elettricità con un impatto ambientale minimo ed è utilizzata anche in Romagna.
Un ultimo punto concerne il risparmio energetico, che dovrebbe essere definito, più correttamente, efficienza energetica: anche in questo caso in Italia se ne parla molto, ma si agisce poco. La coibentazione delle abitazioni è scarsamente attuata, mentre l’utilizzo di prodotti ad alta efficienza (come lampadine o elettrodomestici) è poco praticato. Anche la proposta, da parte dell’ENEL, di introdurre i contatori orari, come negli USA, facendo pagare meno l’elettricità utilizzata nei periodi di basso consumo (ad esempio nelle ore notturne), è stata accolta con freddezza dagli utenti.
Rivalutare il nucleare.
Prima o poi bisognerà rivalutare la produzione di energia per mezzo della fissione nucleare. Questo argomento in Italia è quasi un tabù. Ricordo che, quando nel 1998 si è tenuta la seconda Conferenza nazionale Energia e Ambiente, nonostante le duecento Conferenze preparatorie che hanno toccato quasi tutti gli argomenti, non è stato possibile inserire neanche una sessione di studio che prendesse in considerazione la produzione energetica per mezzo di centrali elettronucleari, e, tra parentesi, anche l’idrogeno era considerato un argomento tabù (e non si capisce perché, comunque ricordo la mia inutile polemica con il Dr. Farinelli, Segretario della conferenza, sull’argomento), per fortuna, in quest’ultimo caso, grazie al Professor Rubbia, diventato nel 1999 Presidente dell’ENEA, abbiamo recuperato il ritardo e adesso siamo un Paese leader nel settore.
Secondo i maggiori specialisti del nucleare, senza i tempi biblici causati dai continui rinvii causati da denunce spesso prive di fondamento che causano blocchi da parte della magistratura come avviene ormai in ogni settore, una centrale autofertilizzante (ossia che utilizza le scorie prodotte e si presta ad eliminare gran parte dei rifiuti radioattivi provenienti dalle centrali costruite precedentemente), un sistema, sviluppato dal Prof. Carlo Rubbia, in fase di sperimentazione presso il Centro di Ricerca ENEA Casaccia, che avrebbe dovuto consentire di abbassare la radioattività di questi materiali, ricavandone al contempo energia, tramite loro “bombardamento” con particelle cariche. In parole povere, è come connettere un acceleratore con un impianto nucleare per la produzione energetica. può essere costruita in meno di cinque anni.
Inoltre, le centrali di cui si spera che il Paese si vorrà dotare, utilizzeranno tecnologie messe a punto recentemente, anche perché ci si avvia verso una standardizzazione a livello internazionale. Incidentalmente vorrei far rilevare al lettore che, per quanto concerne il decommissioning (ossia la dismissione) delle centrali, una volta terminato il ciclo di vita operativo, il nostro Paese dispone di competenze di prim’ordine, tanto che i nostri specialisti sono stati spesso invitati in altri Paesi ad insegnare le tecnologie messe a punto.
Carbone.
Per quanto concerne l’utilizzo del carbone, mentre in Italia, che oltretutto lo importa, il suo utilizzo è diminuito, a livello europeo e mondiale è in continuo aumento. Basti soffermarsi sul fatto che la Germania ha spento le centrali nucleari di cui dispone ma ha costruito negli ultimi cinque anni sette nuove centrali a carbone, di cui le due più grosse a livello mondiale, peggiorando ovviamente in modo notevole la quantità di emissioni inquinanti, mentre Cina ed India, pur promuovendo anche le fonti alternative ed il nucleare, licenziano la costruzione di nuove centrali a carbone con una media di una alla settimana.
Va sottolineato che il carbone puro esiste solo in laboratorio, mentre il carbone che viene combusto non è mai puro, ma presenta quantità significative di metalli pesanti (uranio compreso), mercurio (altamente tossico e cancerogeno, causa effetti nefasti al sistema nervoso provocando ritardi mentali), zolfo (ad esempio il carbone del Sulcis in Sardegna ne presenta quantità industriali tanto che a volte prende fuoco quando portato in superficie!), ossidi di zolfo e di azoto, metano ed altri inquinanti. Secondo un articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista Scientific American nel dicembre 2007, “una centrale a carbone disperde nell’ambiente 100 volte più radiazioni di una centrale nucleare che produce la stessa quantità di energia”. Inoltre, le scorie sono disperse soprattutto nelle ceneri.
Tra l’altro, una centrale da 1000 MW termici, quindi 400 MW elettrici, produce ogni anno 240.000 metri cubi di ceneri che, inevitabilmente, sono disperse, almeno in parte, nell’ambiente. Va sottolineato che le nanoparticelle > PM 10 (contenute anche nei fumi che escono dalle ciminiere delle centrali) non vengono bloccate dal “filtro” nasale. E’ vero che, da alcuni anni, per Legge, in quasi tutti i Paesi europei ed in Nord America, le ceneri sono (o dovrebbero essere) compattate e/o utilizzate nei cementifici, ecc., ma questo avviene da pochi anni, mentre per decenni sono state sotterrate o disperse in mare, cosa che avviene regolarmente nel resto del mondo. Quelle sotterrate, oltre ad inquinare i terreni, inquinano le falde, quelle disperse in mare, provocano danni minori, soprattutto morie di organismi delle zone interessate. Le centrali termoelettriche a carbone più moderne non utilizzano più la combustione diretta, ma privilegiano la tecnologia letto fluido o la gassificazione.
Trasporti.
L’utilizzo del trasporto su rotaia in Italia si contrae progressivamente in maniera significativa, mentre aumenta in maniera massiccia quello su gomma. Ciò è dovuto in gran parte alla situazione allucinante cui sono ridotte le ferrovie del Paese ed a come sono gestite. Anche il cabotaggio nel nostro Paese non decolla, mentre la mobilità urbana di persone e merci è ancora basata in gran parte sull’utilizzo di mezzi privati, con la conseguente congestione delle città, accompagnata dall’aumento delle emissioni inquinanti.
A questa situazione paradossale si continua a sopperire con provvedimenti tampone che ormai fanno solo pena, come le targhe alterne o la recente campagna per l’utilizzo delle auto elettriche. Su quest’ultimo punto va sottolineata l’importanza di come si produce l’energia e la valutazione dell’impatto ambientale delle batterie. Ovviamente, almeno sul breve termine, la vera alternativa è costituita dal potenziamento del trasporto pubblico, che però deve risolvere i problemi che ne impediscono il decollo: copertura territoriale e temporale, puntualità, sicurezza (intesa come ordine pubblico, chi ha occasione di utilizzare mezzi pubblici sa a cosa mi riferisco) e pulizia.
Nel settore del trasporto urbano, è altresì necessario svecchiare i mezzi, potenziando l’utilizzo di mezzi ibridi e/o funzionanti ad idrogeno (ovviamente se quest’ultimo è prodotto con il nucleare nelle ore di basso utilizzo), rivalutare lo sviluppo delle linee tranviarie e delle metropolitane e dotare i capolinea di capaci parcheggi custoditi.
Rifiuti e termovalorizzatori.
In Italia la maggior parte dei rifiuti solidi urbani finisce in discarica, mentre sarebbe opportuno l’incenerimento con recupero di energia. Il riciclo non è sempre la scelta migliore. Occorre valutare il dispendio energetico del riciclo, le sostanze utilizzate per eseguirlo e le alternative praticabili. Spesso è più conveniente, anche, se non soprattutto, dal punto di vista ambientale, utilizzare materie prime facilmente ricostituibili, piuttosto che voler riciclare a qualsiasi costo materiali non adatti al riciclo, sovente solo per motivi di immagine. Un caso esemplare è la cosiddetta “carta ecologica”, ossia quella carta grigia schifosetta che per anni è stata il vessillo di molte pubblicazioni che volevano passare per “ecologiche”.
Ora, mentre è perfettamente logico utilizzare la carta di recupero per farne cartoni ed imballaggi vari, per renderla adatta nuovamente alla stampa, è necessario trattarla con quantità industriali di acido solforico, per questo il riciclo si trasforma in impatto sull’ambiente. Meglio sarebbe utilizzare essenze a rapida crescita, come il Pioppo, o adatte ad essere coltivate in terreni aridi, come il Kenaf. Un altro esempio è rappresentato dal polietilene, le bottiglie costituite da questo materiale sempre più spesso vengono riciclate per produrre altri oggetti. Calcolando però la quantità di energia utilizzata non è chiaro se ciò sia conveniente.
Diverso per esempio è il caso dell’alluminio che, riciclato, permette un grandissimo risparmio energetico rispetto al suo ricavo dalla Bauxite. Anche la moda, addirittura prevista da una Legge, di raccogliere il rifiuto umido separato dalla parte secca non ha molto senso. Infatti, a causa delle impurità presenti, non può essere utilizzato per compostaggio, e quindi deve essere bruciato con quantità significative di combustibile. Diverso sarebbe il discorso se, come negli Stati Uniti d’America, fossero diffusi i tritarifiuti collegati con lo scarico delle acque nere. Ma, ovviamente, sarebbe necessario riprogettare gli impianti.
La gestione dei rifiuti solidi urbani solo in Italia costituisce un’emergenza, ricorrente ogni qualvolta si esaurisce una discarica. Infatti, ovviamente, una discarica, anche costruita nel modo migliore, è sempre un “bidone” che, prima o poi si riempie e, quindi, bisogna sostituire. La compattazione dei rifiuti può allontanare il problema, non eliminarlo. Come più sopra esposto, il sistema più logico per risolvere il problema è rappresentato dall’incenerimento del rifiuto non riciclabile, con recupero di energia. A questo proposito, giova ricordare che, la sostituzione del cloruro di polivinile (PVC) con il polietilene è stata motivata dal fatto che quest’ultimo non libera diossine quando viene bruciato. Ovviamente non nei termovalorizzatori, poiché le diossine si scindono a 840 °C, mentre i termovalorizzatori funzionano a 1200 °C. Quelli ad alta temperatura arrivano a superare i 5000 °C, per cui gli unici scarti sono costituiti da un gas formato essenzialmente da idrogeno e da una sorta di “roccia artificiale” inerte.
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