Zone umide della provincia di Varese
Zone umide della provincia di Varese: Origini del territorio. L’attuale configurazione geomorfologica del territorio compreso nell’area dei laghi della provincia di Varese si è originata in relazione alle glaciazioni del quaternario, probabilmente la più recente, quella di Würm, che ha avuto il picco massimo (fase anaglaciale) circa 18.000 anni fa. In particolare, nel periodo di […]
Zone umide della provincia di Varese: Origini del territorio.
L’attuale configurazione geomorfologica del territorio compreso nell’area dei laghi della provincia di Varese si è originata in relazione alle glaciazioni del quaternario, probabilmente la più recente, quella di Würm, che ha avuto il picco massimo (fase anaglaciale) circa 18.000 anni fa.
In particolare, nel periodo di massima estensione glaciale, il Ghiacciaio del Verbano copriva, oltre che parte del Canton Ticino e delle provincie di Novara e Verbano-Chiuso-Ossola, tutta l’attuale provincia di Varese, per cui i laghi formatisi in relazione al glacialismo presenti sul territorio provinciale sono stati originati da tale Ghiacciaio.
In una prima fase i sette Laghi siti nel territorio della provincia di Varese, ossia Maggiore, Varese, Lugano, Comabbio, Ghirla, Ganna e Monate, formavano un unico immenso Lago che, progressivamente, ha diminuito la sua estensione, fino ad evolversi verso al configurazione attuale.
Per molto tempo si è ritenuto che il fondo dei laghi formatisi in relazione al glacialismo quaternario fosse di roccia compatta, sotto lo strato di sabbia e residui organici, ma recentemente è stato dimostrato che il fondo dei laghi di sovra escavazione è formato da riempimento causato da frane di crollo avvenute durante la ritirata glaciale. E’ quindi evidente che il ghiacciaio del Verbano ha modificato una precedente valle fluviale.
Dopo la progressiva ritirata del Ghiacciaio (fase cataglaciale), le depressioni originatesi in relazione al glacialismo hanno progressivamente assunto l’assetto attuale. Conseguentemente, anche il sistema idrografico ed imbrifero si sono sviluppati in relazione a tale assetto. Ovviamente, nel corso dei secoli, l’uomo ha profondamente modificato il paesaggio, compresa l’irreggimentazione del sistema fluviale e l’antropizzazione delle rive, come vedremo più avanti.
Il Lago Maggiore.
Il principale dei laghi derivati dallo scioglimento del Ghiacciaio del Verbano è il Lago Maggiore o Verbano, situato a 193 m sul livello del mare, con una superficie di 212 km2, di cui l’ottanta per cento in territorio italiano e il venti in territorio svizzero.
Il suo perimetro è di 170 km, la lunghezza massima è di 54 km, mentre la larghezza massima è di 10 km.
Il volume d’acqua al suo interno è di 37,5 miliardi di m3 con un tempo teorico medio di ricambio di circa 14 anni, secondo l’Istituto per lo Studio degli Ecosistemi del CNR (ex Istituto di Idrobiologia di Pallanza).
Il bacino imbrifero è di 6.599 km2, quasi equamente divisi fra Italia e Svizzera. La profondità massima è 370 m, il Lago è quindi una cripto depressione, in quanto la sua profondità è maggiore della sua altezza sul livello del mare.
L’immissario maggiore è il Ticino, che è anche l’unico emissario, nei pressi di Sesto Calende dove, dagli anni quaranta, il suo livello è regolato dalla diga della Miorina. Gli altri immissari più importanti sono il Maggia, in Svizzera, e il Toce. Quest’ultimo a sua volta è alimentato, attraverso il Torrente Strona, dal Lago d’Orta. E’ alimentato anche dal Tresa che è emissario del Lago di Lugano. I tributari sono caratterizzati da un deflusso variabile sia stagionalmente che annualmente, mentre Ticino e Toce, che hanno i rispettivi bacini, per la maggior parte ad alte quote, raggiungono la massima portata nel periodo compreso fra maggio e ottobre, ossia in relazione allo scioglimento di nevi e ghiacciai. Gi altri tributari, ossia i Torrenti Verzasca, Cannobino, San Bernardino, Giona, Margorabbia e Boesio hanno un andamento che viene fortemente influenzato dalle precipitazioni.
Dopo la progressiva ritirata del Ghiacciaio (fase cataglaciale), le depressioni originatesi in relazione al glacialismo hanno progressivamente assunto l’assetto attuale. Conseguentemente, anche il sistema idrografico ed imbrifero si sono sviluppati in relazione a tale assetto. Ovviamente, nel corso dei secoli, l’uomo ha profondamente modificato il paesaggio, compresa l’irreggimentazione del sistema fluviale e l’antropizzazione delle rive, come più avanti brevemente delineato.
Il bacino del Lago Maggiore, è stato profondamente modificato dall’uomo, con la formazione di oltre trenta invasi artificiali, che hanno una capacità complessiva di seicento milioni di metri cubi d’acqua. Le rive, in particolar modo della parte italiana del Lago sono state, e continuano ad essere, oggetto di massiccia antropizzazione, spesso con estesa cementificazione delle stesse.
Inoltre, il carico antropico, con relativi scarichi urbani, agricoli ed industriali, ha causato estesa eutrofizzazione, dovuta principalmente al fosforo, ed inquinamento di tipo chimico (insetticidi organoclorurati, idrocarburi, metalli pesanti, ecc.), fenomeni che sono in diminuzione, ma tutt’altro che soddisfacentemente risolti. Ciò è dovuto in parte alla costruzione di sistemi di depurazione delle acque, ed in parte al cambiamento della tipologia della produzione industriale.. In passato, la Confederazione Elvetica, ha “gettato” nel Lago fusti contenenti rifiuti radioattivi derivanti dalla produzione energetica da fissione.
A causa dei profondi rivolgimenti causati dall’antropizzazione, la maggior parte della fascia costiera originaria è stata significativamente modificata, cementificata e degradata, per cui il naturale avvicendamento delle successioni ecologiche è, di fatto, annientato. Per questo motivo, è necessaria la conservazione delle ultime paludi rimaste che, oltre a costituire degli ambienti residuali, sono zone di rifugio e riproduzione di molte specie vegetali ed animali.
In particolare, nell’ambito del territorio compreso nel bacino imbrifero del Lago Maggiore insistono aree di elevato interesse naturalistico, anche rispetto all’ecologia storica, con particolare riguardo per le zone di protezione speciale e dei siti di importanza comunitaria denominati “Canneti del Lavorascio” in Comune di Ispra, “Palude Bozza”, nei Comuni di Ispra e Brebbia, “Palude Bozza-Monvallina” nei Comuni di Besozzo e Monvalle.
Lago di Varese.
Il Lago di Varese si è originato a causa di uno sbarramento morenico, per cui le sue dimensioni e la sua profondità sono notevolmente minori dei laghi di sovra escavazione (come il Maggiore); la sua profondità massima è di 26 metri, mentre la media e di 11; la superficie è di 14,52 km2; il bacino imbrifero è di 112 km2; L’altezza sul livello del mare è di 238 m. Gli immissari sono il Canale Brabbia, proveniente dal bacino del Lago di Comabbio, ed il Torrente Tinella, mentre l’unico emissario è il Fiume Bardello, che sfocia nel Lago Maggiore, fra i Comuni di Brebbia e di Monvalle, in località Bosco Grande. Il Lago di Varese è monomittico, presenta cioè un unico periodo di circolazione completa delle acque, con una durata di circa 2,8 anni.
Altamente inquinato, in passato principalmente da scarichi industriali, oltre che civili, attualmente principalmente da questi ultimi. Nonostante il collettore circunlacuale costruito negli anni ’80, ancora oggi la situazione appare precaria, anche perché alcune delle città che si affacciano sul Lago non sono dotate di depuratore. Va sottolineato che, dopo sessanta anni, quest’anno è stato dichiarato nuovamente balneabile.
Nell’ambito del territorio compreso nella provincia, per quanto concerne il Lago di Varese, sono comprese le Riserve Naturali Regionali denominate “Palude Brabbia” nei comuni di Casale Litta, Cazzago Brabbia, Inarzo, Ternate e Varano Borghi e “Lago di Biandronno” nei comuni di Bardello, Biandronno e Bregano, siti di interesse storico-ambientale in quanto archivi bio-stratigrafici per la storia dei paesaggi naturali ed etnografici.
Situata fra il Lago di Varese ed il Lago di Comabbio, la Palude Brabbia, estesa per 459 ettari, è una torbiera piana pedemontana. Sfruttata in passato, sin dal 1847, per l’estrazione della torba, con conseguente creazione di numerosi specchi d’acqua, attualmente è classificata come Zona Umida di Importanza Comunitaria secondo la Convenzione di Ramsar, oltre che SIC e ZPS.
Il Lago di Biandronno è in realtà una torbiera, ultimo stadio di un bacino lacustre che occupa una piccola conca lungo la sponda nord-occidentale del Lago di Varese, da cui è separato da un setto di roccia calcarea. Interessato in passato dall’estrazione della torba, nel novecento, in particolare dal secondo dopoguerra, grazie soprattutto a cause antropiche, si è notevolmente accentuata la copertura di Canna di palude (Phragmites australis) che, attualmente, ricopre quasi interamente il bacino. L’apporto idrico è esclusivamente di natura meteorica, mentre l’unico emissario, artificiale, la Roggia Gatto, sfocia nel Lago di Varese.
Il clima.
Il clima che caratterizza l’area dei laghi, inserita in un territorio tipicamente continentale, beneficia dalla barriera a Nord, costituita dalla catena alpina, che blocca le correnti fredde provenienti dall’Europa settentrionale, mentre trattiene le correnti calde provenienti da Sud. Inoltre è favorito dalla presenza dei bacini lacustri. Infatti, come è noto, l’acqua accumula lentamente il calore e lo rilascia altrettanto lentamente, favorendo la mitigazione delle escursioni termiche, rispetto ad aree con le stesse caratteristiche geografiche che non possiedono bacini lacustri. Grazie a queste caratteristiche, l’area beneficia di temperature relativamente miti e da un regime pluviometrico medio.
Il paesaggio.
Come abbiamo visto più sopra, il paesaggio del varesotto è stato originariamente plasmato dalle glaciazioni, l’ultima delle quali, quella di Wurm, aveva coperto con il Ghiacciaio del Verbano l’intera provincia di Varese, unitamente a quelle piemontesi di Novara e di Verbano-Chiuso-Ossola e parte del Canton Ticino in Svizzera. Con il progressivo scioglimento del Ghiacciaio, i bacini lacustri hanno assunto l’aspetto attuale. Ovviamente, con il mutare delle condizioni climatiche, sono cambiate la flora e la fauna presente sul territorio.
Notevoli cambiamenti sono stati causati dall’attività antropica, che ha profondamente mutato il paesaggio, a cominciare dall’ultima parte del neolitico.
Il paesaggio posteriore l’ultima glaciazione era caratterizzato, come in tutta l’area Padana, da foreste, inframmezzate da zone umide. Ma, nel periodo chiamato dell’ascia pesante, l’uomo, espandendosi progressivamente verso ovest, ha cominciato a disboscare e successivamente ridurre a pascolo ed a coltivazioni, gran parte del territorio, costruendo insediamenti anche sulle rive dei laghi, inizialmente palafitte, successivamente insediamenti più elaborati, come testimoniato dai reperti che sono stati portati alla luce nel corso di scavi, eseguiti sulle rive dei laghi e nelle torbiere, a partire dalla prima metà dell’ottocento, principalmente per la costruzione di porticcioli per la pesca, di attracchi per i traghetti, e per l’estrazione della torba.
Nel corso dei secoli, e segnatamente negli ultimi due, gli insediamenti e le opere infrastrutturali hanno significativamente modificato l’ambiente con alterazioni a volte devastanti. In particolare i bacini lacustri sono stati oggetto di significativi rivolgimenti. Il Lago Maggiore è stato oggetto di estese opere di alterazione idrografiche dovute all’opera umana, con la formazione di oltre trenta invasi artificiali, che hanno una capacità complessiva di seicento milioni di metri cubi d’acqua. Le rive, in particolar modo della parte italiana del Lago, sono state, e continuano ad essere, oggetto di massiccia antropizzazione, spesso con estesa cementificazione delle rive.
Nel secolo passato, il carico antropico, con relativi scarichi urbani, agricoli ed industriali, ha causato vasta eutrofizzazione, dovuta principalmente al fosforo e ad altri inquinanti di tipo chimico (insetticidi organoclorurati, idrocarburi, metalli pesanti, ecc.), fenomeni che sono in diminuzione, ma tutt’altro che soddisfacentemente risolti. Ciò è dovuto in parte alla costruzione di sistemi di depurazione delle acque, ed in parte al cambiamento di tipologia della produzione industriale. Per, cui nel corso del tempo, sono mutate le tipologie di agenti inquinanti. In passato, la Confederazione Elvetica, ha “gettato” nel Lago fusti contenenti rifiuti radioattivi derivanti dalla produzione energetica da fissione.
Il Lago di Varese, a causa delle dimensioni nettamente inferiori rispetto al Maggiore ed alla sua diversa struttura geologica, trattandosi di un lago morenico, unitamente al rilevante inquinamento industriale, oltre che antropico, ancora oggi risulta interessato da un significativo carico inquinante, attualmente da addebitarsi principalmente a scarichi fognari, in quanto non tutti gli insediamenti rivieraschi beneficiano di depuratori.
Nel complesso i bacini lacustri e la rete idrografica presentano quindi un elevato tasso di alterazione di qualità delle acque causato, oltre all’inquinamento di cui si è detto sopra, dalla copertura completa, ancora oggi, di un sistema di depurazione adeguato. Inoltre, l’elevato sviluppo industriale dell’area, conseguente al boom economico del secondo dopoguerra, ha comportato un incremento esteso e disordinato delle costruzioni, con concomitante disboscamento ed alterazione idrogeologica, impermeabilizzazione di parte del territorio e rilevante inquinamento industriale, cui solo attualmente si sta timidamente ponendo un parziale rimedio.
A causa di questi profondi rivolgimenti causati dall’antropizzazione, la maggior parte della fascia costiera originaria dei laghi è stata significativamente modificata, con estese cementificazioni delle sponde o comunque sostituzione della fascia costiera con opere antropiche, per cui il naturale avvicendamento delle successioni ecologiche è, di fatto, profondamente modificato. Per questo motivo, è necessaria la conservazione degli ultimi siti che ancora presentano un elevato grado di naturalità, comprese le zone umide presenti nell’area che, oltre ad essere ambienti residuali, costituiscono gli ultimi biotopi che conservano la vegetazione originaria e sono importanti aree di rifugio e riproduzione per molte specie animali.
L’attuale vegetazione rivierasca viene generalmente ed impropriamente definita insubrica ma, in effetti, solo una parte di essa può definirsi tale, in quanto sono presenti essenze tipiche di gran parte delle zone umide delle Prealpi. Bisogna anche tener conto che parte significativa della vegetazione originaria è stata spesso alterata, con l’introduzione di specie alloctone.
La flora presente nell’area è significativamente condizionata dalle condizioni climatiche, in parte influenzate dalla vicinanza dei bacini lacustri, ciò ha permesso lo sviluppo di piante tipicamente mediterranee e di piante caratteristiche dell’area dell’atlantico meridionale. La composizione della flora è, ovviamente, influenzata anche dalle caratteristiche fisico-chimiche del terreno ed all’abbondanza di rocce silicee.
Leggi anche: Struttura delle zone umide prealpine
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