MARIKA RICCHI: Gestus pedum
La scultura di Marika Ricchi. Lo scultore Marika Ricchi indaga in modo sofisticato e vezzoso il particolare anatomico oggetto di approfonditi studi di ogni epoca, civiltà e cultura: i Piedi! E se ne lascia sedurre così tanto da suscitare, in chi li osserva, nuove e bizzarre sensazioni scaturite dall’originalità e dall’estro. Se da una parte la Ricchi evoca il […]
La scultura di Marika Ricchi.
Lo scultore Marika Ricchi indaga in modo sofisticato e vezzoso il particolare anatomico oggetto di approfonditi studi di ogni epoca, civiltà e cultura: i Piedi! E se ne lascia sedurre così tanto da suscitare, in chi li osserva, nuove e bizzarre sensazioni scaturite dall’originalità e dall’estro.
Se da una parte la Ricchi evoca il rigore della statuaria classica formale, dall’altra sono ingegnosi e “ricchi” i riferimenti all’oggetto cult di design che nella commistione ben riesce. D’altra parte l’artista è di colta matrice accademica e sa scorrere lungo la linea del tempo e degli stili estraendo dalla materia l’intensa espressività.
I piedi che ella scolpisce e pone in essere non sono mai statici, anzi avvezzi al movimento; a volte si lasciano distrarre da una brezza di leggerezza, da un senso di leggiadria e avvenenza, e l’eco alla pittura e scultura del rinascimento s’appresta alla mente; altre volte hanno da compiere passi non facili, come spesso accade nella vita, e il richiamo all’estremo e sconvolgente realismo della pittura di A. Mantegna e di M. Merisi per intensità è evidente.
Infatti, l’enfasi connaturata nel gestus pedem di Marika Ricchi è innegabilmente pregna di un vissuto. Per le sue sculture l’artista sceglie il marmo bianco di Carrara, la paraffina, la ceramica, in quest’ultimo caso more fecit con il calco in gesso per determinare cause ed effetti del tempo, testimone equo e scevro d’indifferenza.
Sono piedi di ogni età!
Piedi giovani dalla linea pulita, affusolata ed elegante – con un canone di stile e proporzioni riferito ai tre modelli, egizio, greco e romano, ma attualizzato e reso contemporaneo – e alla compostezza formale irrompe audace e spavaldo il dettaglio significante, il particolare provocante e stuzzicante che riporta al temperamento della giovinezza.
E quel dettaglio si fa capriccio, ghiribizzo, ornamento che cattura fascinoso, anche attraverso l’incidenza delle cromie a contrasto, come nell’opera Bzzz, scultura di piedi in marmo bianco di Carrara sulla quale si posano delle api di ceramica color oro, nero e giallo le quali amabilmente minimizzano la solennità del marmo bianco.
L’artista Ricchi concepisce l’anatomia del piede come sintesi delle gesta umane, e l’assenza di un corpo non viene riferita come un’amputazione macabra alla Gericault, per intenderci, con resti e/o frammenti umani; piuttosto ella desidera convogliare lo sguardo sul vissuto di quei piedi e farci intuire il percorso ch’essi hanno compiuto.
Si tratta dunque di piedi che narrano una storia, la loro storia singolare o comune che sia, di certo mai vana. Talvolta ad essi viene negato il moto, il movimento, sono stretti da una corda come ad un destino disgraziato e il richiamo alla schiavitù è duopo.
Sono piedi che compiono passi forzati su di un suolo scomodo, lontano dalla loro patria, fatto di chiodi arrugginiti o di carbone – vedi l’opera Sotto i piedi, in questo caso si tratta di sculture installate ad hoc e siti specifici – capaci di rammentare la sofferenza degli oppressi, il cammino di uomini perseguitati e destinati alla transumanza.
Essi ricordano i popoli in fuga da quelle aree geografiche in cui ogni giorno si consumano misfatti e scene di guerra. Ma sono anche piedi sospesi sulle punte delle dita, in equilibrio su di oggetti acuminati, su di uno scardasso di ferro arrugginito – vedi l’opera Equilibrium, in cui i piedi sono in equilibrio su di un cardatore il quale veniva utilizzato anticamente per pettinare la lana -.
E il simbolismo, sia antropologico delle nostre ataviche memorie, sia dell’essere in equilibrio, ci apre un vasto campionario d’interpretazioni. Vivere la condizione umana dell’equilibrio è il paradosso del bilico, della precarietà. Chi di noi non ha mai provato la condizione scomoda di dover misurare i propri passi, e di dover mettere un piede avanti all’altro con estrema cautela per paura di scivolare, di cadere, e infine di perdere l’equilibrio?!
Che siano piedi di marmo o di paraffina o di ceramica di certo alla monocromia delle sculture di Ricchi, sapientemente s’affiancano oggetti come citazioni raffinate ed eloquenti quali: l’inginocchiatoio, i chiodi arrugginiti, il carbone, le Api d’oro, le corde, gli oggetti acuminati, le campane di vetro. Ella affida ai piedi la bellezza esteriore, interiore e concettuale con simboli di purezza e malizia al contempo, e quindi misurati e confidenziali oppure estremi e denunzianti.
Quelli di Marika Ricchi sono piedi “parlanti” e “attivi”, che ella predispone al “dialogo” e al “fare”, e che ne sottolinea e svela con eleganza le amputazioni mentali prima che fisiche. Se con i piedi si può toccare, mangiare, dipingere, camminare, essi possono anche parlare! E quanti percorsi di vita da narrare, quanta vanità e promiscuità da esibire, quanta malvagità da raccontare.
I piedi hanno una storia, sono la nostra storia in cui è possibile rintracciare il nostro vissuto sociale e culturale. Da Oriente a Occidente l’antica pratica della cura dei piedi serviva per curare le affezioni del corpo e della mente e, allora come oggi, quando essi vengono celati, occultati o al contrario esibiti, ostentati, così come le mani, rivelano uno di status.
Dai piedi noi possiamo mappare l’esistenza che si è scelta o subita, possiamo leggere il sacrificio o l’eccesso, conoscere culture e costumi della società d’appartenenza. Essi ne sono pregni, ne sono condizionati, modificati financo mortificati. I piedi inducono sempre un’enorme curiosità perfino quando vengono nascosti! Pensiamo alle costrizioni inflitte ai piedi delle Geishe e delle danzatrici occidentali.
Ma nella fissità irremovibile dei piedi, come protesta, si può affermare la propria idea e filosofia socio-politica. Basti pensare all’opera metafisica di G. De Chirico Le muse inquietanti, in cui i piedi vengono sostituiti da una colonna scanalata posta su di uno stabile basamento, baricentro su cui poggiare le solide ragioni intente a riaffermare la grandezza del nostro passato greco e latino.
Dunque, sia che si tratti di piedi giovani cinti da tatuaggi o monili, sia che si tratti di piedi age sofferenti il cui tracciato delle vene ne caratterizza la fragilità, ciò che prevale in loro è la forza identitaria! E per dirla come il poeta Erri De Luca ne l’Elogio ai piedi: “Perché essi sostengono il nostro peso. Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi. Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare. Perché portano via..”
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