TOKYO 365 Project: Visual Art di Virginio Favale
TOKYO 365 Project: intervista a Virginio Favale. A cura di Mariaimma Gozzi. Benvenuto Virginio Favale, grazie di avere accettato la mia intervista. E’ un autentico piacere conoscere il suo lavoro dal suo punto d’osservazione. “Grazie, è un grande piacere anche per me poter parlare del mio lavoro con lei che è una attenta osservatrice.” Geometrie […]
TOKYO 365 Project: intervista a Virginio Favale.
A cura di Mariaimma Gozzi. Benvenuto Virginio Favale, grazie di avere accettato la mia intervista. E’ un autentico piacere conoscere il suo lavoro dal suo punto d’osservazione.
“Grazie, è un grande piacere anche per me poter parlare del mio lavoro con lei che è una attenta osservatrice.”
Geometrie e frammenti di vita, i suoi scatti fotografici sono incentrati su una metropoli che rapisce: Tokyo. La città più popolata del mondo è diventata la sua musa.
Input del work in progress Tokyo 365 Project. Quanto tempo ci ha messo a darle forma?
“Tokyo 365 nasce da una incessante ricerca che inizia nel 1999, quando ho realizzato il mio primo viaggio a Tokyo. All’inizio non avevo coscienza dei mutamenti che erano in atto, il più importante di questi era il passaggio dall’analogico al digitale, e di tutte le conseguenze che ci sarebbero state a livello di linguaggio. La fotografia ha subito un cambiamento epocale e io mi sono ritrovato a vivere questo cambiamento sulla mia pelle.
In un periodo di grandi mutazioni avevo comunque un punto fisso, Tokyo.
Nel 2013 mi trasferisco nella capitale nipponica e nel 2015 realizzo un video sperimentale dal titolo Tokyo 365 che in un secondo momento diverrà il titolo dell’intero progetto. All’inizio di quest’anno realizzo che sono venti anni che frequento il Giappone e automaticamente nasce l’idea di sviluppare il progetto per farlo diventare un libro e una mostra importante a livello museale.”
Le immagini geometriche da lei costruite ri-creano sempre l’armonia, sia che si tratti di osservazioni attinte dal mondo naturale con regole matematico-scientifiche, sia che si tratti di una texture di luce che s’imbriglia nel frame.
Qual è il fascino di questo dualismo?
“In realtà sono due linguaggi che ho sviluppato (parallelamente) negli ultimi anni. Credevo che non si potessero fondere tra loro, poi ho scoperto che c’era un forte legame a livello concettuale, e quando ho cominciato ad accostare questi mondi ho capito che potevano convivere. Si riflette a lungo sul lavoro che si sta facendo e a volte tutto appare chiaro e comprensibile.
All’improvviso mi è venuto di accostare l’ordine geometrico delle immagini all’ordine perfetto dell’universo, e alle sue leggi matematiche, all’ineluttabilità degli eventi. Parallelamente l’effetto mosso mi sembrava perfetto per raccontare il divenire delle cose e il margine di libertà che abbiamo all’interno delle leggi predeterminate. Insomma un respiro continuo tra universo e noi che ci dibattiamo nel nostro piccolo quotidiano.”
In tema di geometrie. Esse a volte sono costituite di esili filamenti, monocromi o policromi, ma sempre intenti ad evidenziare la pulizia della linea e della forma nella composizione.
Sono echi di un gusto estetico affinato e compenetrato dalla sua precedente attività creativa nel mondo della pubblicità?
“Diciamo che la pubblicità ci allena all’ordine, alla pulizia. Questi linguaggi però non nascono dal mondo della pubblicità bensì è un processo al contrario: nascono come ricerca personale e spesso vengono messe al servizio della pubblicità o per la comunicazione aziendale.
Ho lavorato con tante agenzie di rilievo internazionale come Saatchi & Saatchi, McCann Ericksonn, Young & Rubicam e proprio i miei linguaggi più all’avanguardia mi hanno permesso di realizzare campagne ed operazioni artistiche per clienti come Enoitalia, Aeroporti di Roma, Renault, Ford, Mercedes e molto altri.”
Tokyo, non dorme mai, e i suoi ritmi sono insostenibili per noi Occidentali.
Come è riuscito a coniugare il suo tempo con quello della cosmopolita città e il tempo in-oggettivo quello interiore?
“Tokyo non dorme mai ma anch’io non dormo tanto. In realtà ho sempre avuto una forte esigenza di fare lunghe camminate, e ho sentito fin da subito che la megalopoli era adatta alla mia anima, al mio modo di muovermi nello spazio. La più grande conurbazione esistente sul pianeta è il massimo per un fotografo appassionato di grandi città.
E’ passato tanto tempo, appunto venti anni, eppure sento che ci sono ancora tante cose da scoprire, zone da esplorare. Sembra una storia d’amore perfetta, ti svegli dopo venti anni e ti accorgi che sei ancora follemente innamorato della tua compagna. Questo è per me Tokyo, una città dove il tempo non esiste, o meglio, dove il tempo vola.
Il tempo è sempre stato il mio alleato e ho sempre pensato che potevo gestirlo, raccontarlo.
Sai, il tempo è uno dei fattori fondamentali in fotografia. Tempo, sensibilità e diaframmi sono le basi tecniche per fare fotografia. Il tempo può essere veloce o lungo in fase di scatto come nel nostro quotidiano, la sensibilità della pellicola o del sensore è la stessa sensibilità che occorre per immergersi nella scena davanti a se e per finire il diaframma, che non è altro che uno spazio, lo stesso spazio nel quale ci muoviamo e che andiamo a suggellare in una fotografia.”
Uomini e donne colti in movimento, alveolati entro auree o inseguiti da nimbi, sembrano appagati dai loro passi decisi. Ma, lo sguardo distratto tradisce l’astrazione di un pensiero, e il cammino lucido diviene peregrinare dello spirito come una dicotomia.
È cosi?
“Il cammino ha sempre un forte valore spirituale e non solo fisico. I grandi camminatori della storia erano anche dei grandi pensatori. Ho sempre cercato di cogliere momenti in cui c’è una mutazione, un cambiamento in corso. Nelle mie immagini i personaggi si muovono all’interno di un paesaggio urbano, a volte sono come sospesi in un attimo di attesa.
Le foto della serie “Alone”, ad esempio, sono state scattate tutte a fine giornata nel momento in cui ognuno di noi rientra nella propria anima. A Tokyo il cammino non avviene tanto all’esterno attraverso un movimento nello spazio bensì all’interno dei personaggi ritratti, in un continuo movimento interiore.”
Nella peculiarità del suo lavoro lei circoscrive squarci di vita naturale in cui s’innestano le architetture. E traccia un hic et nunc con elementi fortemente evocativi: penso all’albero spoglio circondato di grattacieli in fuga o alla metropolitana in cui ogni giorno milioni di tokioti si recano.
Come entra in empatia coi suoi soggetti?
“Normalmente non c’è un esercizio particolare per entrare in empatia, basta che porto con me la macchina fotografica e il gioco è fatto. Se non ho con me la fotocamera mi sento come perso. Per me la macchina fotografica è come un prolungamento dello sguardo e automaticamente mi fa entrare in empatia non solo con quello che ho davanti ma con l’intero universo.
E’ come se lo sguardo avesse un’estensione che non è solo fisica, visiva, ma che diventa di pensiero e di espansione dell’anima.
In questo quadro si incastra perfettamente il concetto del “qui e ora”, quello che avviene non è solo al di fuori di me, è una fusione tra la scena esterna e la mia sensibilità, il mio modo di guardare il mondo. E’ un gioco di dentro e fuori che si ripete all’infinito.”
Annodare passato, presente e futuro è il fascino e l’essenza di Tokyo 365 Project.
Nell’idea del divenire rientra anche la possibilità di esistenze altre come esigenza?
“La vera esigenza è cercare una visione nuova in un gioco di dentro e fuori, dritto e rovescio, come nelle immagini di Shinjuku. Il caleidoscopio ci rimanda a una coscienza collettiva che guarda i grattacieli simultaneamente, basta pensare che questi sono i paesaggi urbani più visti al mondo, dato che la stazione di Shinjuku è la più trafficata del pianeta.
Questo è il punto nodale di tutto il progetto: l’idea di raccontare luoghi e momenti di vita, di una città che fa tendenza, proiettandoli con un linguaggio onirico verso l’assoluto, dove il sogno diventa più reale della realtà stessa.”
Seduce di Tokyo la commistione di elementi tradizionali e al contempo ultramoderni: templi storici, santuari, teatri kabuki e grattacieli pulsanti di luci al neon. Sembra un ossimoro eppure la calma, la saggezza, la filosofia della civiltà orientale riesce a convivere con le nevrosi della contemporaneità ipertecnologica.
Qual è il punto d’incontro, se esiste, delle due realtà?
“Il punto di incontro credo sia l’organizzazione. I giapponesi sono lenti, precisi, ordinati, grandi lavoratori, e in una sola parola organizzati. Riescono a conciliare bene i ritmi frenetici moderni con un grande rispetto delle tradizioni e dei rituali quotidiani. Questo è un punto che mi ha sempre affascinato, sono pieni di vita, con un vulcano dentro, però riescono a mantenere la calma e la compostezza.
La fotografia ha un grande potere che è quello di cristallizzare le emozioni sui loro volti, di cogliere momenti apparentemente banali per renderli eterni e di rivelare questa energia compressa, di portarla in superficie.”
La sua indagine di Visual artist le ha permesso di avvicinarsi alla cultura orientale, come un antropologo dell’inconscio, catturando le emozioni dei suoi attori. Questo equivale a trasformare il non-visibile in visibile.
Quanto è condizione necessitante per lei l’aspetto spirituale?
“Credo sia fondamentale, a volte mi sento come uno speleologo che scava e ricerca nel mondo spirituale. I nostri corpi sono in continuo contatto e comunione con tutte le energie dell’universo. Credo che uno dei ruoli dell’artista sia proprio quello di entrare in contatto con queste energie per portarle a conoscenza, prenderle dall’etere, dal cielo, per scaricarle a terra nel mondo fisico.”
Prima di congedarmi vorrei porle un’ultima domanda: quale sorte auspica a Tokyo 365 Project?
“Essendo un progetto in continuo divenire immagino che possa svilupparsi ulteriormente nel tempo, mi piacerebbe avere una fase più riflessiva e Artmagari tornare alla poesia e ai tempi lenti dell’analogico, da dove sono partito appunto. Comunque adesso voglio fissare buona parte del lavoro realizzato con un libro e una mostra itinerante a livello internazionale.”
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