“Quando saremo grandi” racconta di un gruppo di trentenni alla ricerca della propria strada
Sono i legami i veri protagonisti di “Quando saremo grandi”, l’ultimo libro della scrittrice salentina Antonella Caputo, pubblicato dalla nota casa editrice barese “Les Flaneurs”. E sono le relazioni che in questo romanzo corale, dettano il ritmo delle storie, il loro incidere e il loro rilevarsi. Il titolo dice già tanto: la difficoltà per un gruppo unito di amici di vivere la vita adulta, partiti da un’ adolescenza spensierata e fiduciosi del futuro.

Da dove nasce questo romanzo?
“Ho impiegato 2 anni per la prima stesura. Poi sono passata alla correzione di bozze e alla revisione. Ma naturalmente la storia abitava nella mia mente da tempo: potrei dire che parte da un’immagine che porto con me da piccola: quella di un’altra bambina più piccola di me, in lacrime, e di sua madre, che la prende per mano e la conduce lontano dalla strada trafficata. Forse quella evocazione mi ha spinto a indagare nelle relazioni e nei ruoli, che a volte si ribaltano, volevo uscire fuori dagli stereotipi e sono partita dalla rappresentazione delle famiglie, perché ogni famiglia del romanzo è a suo modo anomala e disfunzionale”.
Il romanzo è diviso in tre parti: la prima parte è una sorta di presentazione di tutti i personaggi, a chi senti di essere più legata?
“Questo è un romanzo corale: ogni personaggio è importante poiché portatore di una sua storia, una voce. Certo sono legata a Laura, Riccardo e Stefano e credo che in ognuno di loro ci sia qualcosa di me. Ho amato molto Elisa, anche se è la “cattiva” della storia, con un carico emotivo particolare: il mio intento di rappresentare la maternità non solo come un evento positivo, come suggerisce l’immaginario collettivo, ma intriso anche di difficoltà, dubbi e crisi”.
Il cuore della storia è il sentimento dell’amicizia. I protagonisti sono legati da anni e restano uniti, nonostante le scelte diverse o le distanze…
“L’amicizia è il tema centrale intorno al quale sono stati cuciti tutti gli altri temi del romanzo. Io penso che le relazioni, i legami appunto ci salvano. Non sono dell’avviso che è la famiglia a salvarci: lei può fornirti anticorpi, valori certamente, ma quello che ti fa crescere ed essere parte del mondo è tutto il mondo che ruota al di fuori delle dinamiche famigliari: l’amicizia è una forma di cura e di dedizione, penso spesso a quel pezzo meraviglioso di Franco Battiato “La Cura”, ecco, sono gli amici che si prendono cura di quel che sei e quello che diventerai”.
La generazione attuale si trova spesso a lasciare la terra natìa: è un aspetto che ritorna nella letteratura contemporanea. Perché?
“Perché non ci sono garanzie e non ci sono gli schemi fissi e precostituiti di una volta. Le tappe prima erano quelle: gli studi, un lavoro appagante, il matrimonio e la costruzione di una famiglia. Adesso c’è una molteplicità di stimoli e di scelte. E questo porta un sentirsi disorientati: da una parte accende, dall’altra conferisce incertezze e paure, così come ho cercato di raccontare”.
Sud e letteratura: binomio sempre più vivo. Che tipo di Sud troviamo in questa storia?
“Ogni autore racconta il proprio paesaggio in modo particolare e personale. Io volevo tratteggiare un Sud urbano, realistico. E ho cercato di farlo anche con la ricerca del lessico dei personaggi. Auentici”.
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