I capisaldi del Vedanta.
“Il vedanta” non è una filosofia, un sistema speculativo di pensiero come lo si intende in occidente. In realtà “Il vedanta” potremmo definirlo come una sorta di mappa realizzativa in quanto mira proprio alla realizzazione della divinità più alta. La realizzazione secondo “Il vedanta” è operativa, mira a conoscere la realtà fin nei minimi dettagli, per scartare il superfluo e appunto giungere al “vero”.
Secondo “Il vedanta” – detto “advaita”, non duale – l’unica realtà che sottostà alla manifestazione universale, è quella del Brahman, che potremmo paragonare alla luce delle luci di gnostica memoria. Brahman è per noi comunque, velato, nascosto proprio dalla manifestazione tangibile del nostro mondo, che risulterebbe essere una sorta di sovrapposizione illusoria alla sua realtà. Il concetto della Maya cosmica è troppo noto per parlarne qui.
Usando in modo sistematico “viveka”, ovvero la discriminazione, il candidato vedantino passa a sviscerare questa velatura che è la realtà. Viveka mira a dividere la nostra visuale della realtà, a scindere in modo scientifico quel che è vero secondo il Brahman, da quello fittizio secondo la manifestazione di Maya, l’illusione cosmica.
A tal fine, grazie a “Viveka”, si attua il processo complesso di “neti neti”, non questo, non questo. Come nello sbucciare una cipolla, strato dopo strato la nostra rappresentazione della realtà viene analizzata, per scartare in modo sistematico ogni strato che percepiamo, come per appunto giungere al centro di una cipolla. “Neti neti” non può essere applicato senza la discriminazione di “viveka”, e i due sono simmetrici nella ricerca di Brahman.
E’ ovvio che, prima di applicare “neti neti” (non questo, non questo), sia basilare che “viveka” (la discriminazione), sia già attiva, se non il processo di analisi di “viveka” stesso risulterebbe solo un passatempo metafisico senza raggio di azione concreto. Secondo il vedanta, all’interno del complesso microcosmo umano, vibra nei recessi più profondi, il Brahman stesso, definito con il termine di “Atman”.
Atman è la realtà ultima inoltre, di tutte le coscienze, sia umane che non, manifestate nel regno di Maya. Esiste un solo Atman, per noi scisso in miriadi di esseri e per così dire “molteplice”, ma in realtà unico quale substrato della realtà. Se atman non è attivo almeno in modo elementare nel candidato in cerca della verità, “viveka” non può essere applicato, tantomeno “neti neti”.
Questo perché, colui che è ancora completamente assorbito dalla realtà esteriore e che quindi non assaggia – per così dire – almeno un pochino il soffio dell’eternità, non possiede i mezzi per intraprendere il viaggio verso il centro della realtà. Anzi costui non sente nemmeno il bisogno di intraprendere tale viaggio, preso come è nelle innumerevoli illusioni, anche invitanti, che l’esteriorità del mondo offre.
Secondo il vedanta non duale inoltre, l’essere umano possiede, non solo il corpo fisico ma altri quattro involucri – per un totale di cinque corpi. Questi cinque corpi sempre più sottili dall’esteriorità all’interno, rappresentano delle guaine in cui è incapsulato atman. L’ultima, la più prossima ad Atman, è chiamata la “guaina di beatitudine”. Questa guaina, o corpo sottile, rappresenta l’ostacolo più pernicioso alla realizzazione della divinità in noi, perché propriamente ci dona stati sovrapersonali di beatitudine.
“Neti neti” a livello microcosmico quindi deve essere applicato, non solamente al piano formale di manifestazione, ma anche a quello informale.
Renè Guenon, nella sua opera “L’uomo e il suo divenire secondo il vedanta”, illustra bene la costituzione dell’essere umano, così come le opere di Raphael, italiano moderno assai apprezzato in ambito esoterico. “Viveka” quindi è essenzialmente opera di discernimento a livello microcosmico che parallelamente agisce anche a livello macrocosmico, secondo il ben noto assioma ermetico “come in alto così in basso”.
La complessità dell’universo si rispecchia all’interno di noi stessi, e procedere all’interno equivale a viaggiare verso l’esterno. Usando “neti neti” bisogna essere drastici e risoluti. Infatti non è così semplice raggiungere il fulcro di ogni cosa, poiché la realtà esteriore è composta, non solo dalla parte materiale in cui viviamo da svegli, ma da una controparte energetica denominata “sfera astrale”.
I cercatori di buona volontà, incappano quasi subito in detta sfera astrale, credendo di aver raggiunto Atman e quindi Brahman. Cosa illusoria al massimo grado! Brahman, non è una energia astrale che si può esperire con i sensi attuali, ma in realtà trattasi di uno stato vibratorio che si può solamente vivere di prima persona, dopo aver applicato minuziosamente “viveka” nel “neti neti”.
A nostro avviso “neti neti” non ha propriamente fine, almeno per un essere umano in vita, dato che la realtà è un complesso insieme di strati sempre più sottili, tutti rientranti però nelle tre dimensioni dello spazio tempo. Ci viene in mente il vangelo gnostico della Pistis Sophia, dove è narrato che il candidato ai misteri, deve passare per stati della materia sempre più sottili, prima di giungere nel tredicesimo eone, il luogo originale della sua nascita che è ubicato oltre le dodici forze fondamentali della natura. Per uno studio proficuo dei mezzi con cui “neti neti” viene applicato, consigliamo anche tale testo, di una tradizione diversa di quella del “Il vedanta”, ma appartenente alla filosofia perenne come il “Il vedanta” stesso…
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