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La signorina Felicita ovvero la Felicità

La signorina Felicita: l'amore puro di Guido Gozzano.

La signorina Felicita: l’amore puro di Guido Gozzano.

La signorina Felicita ovvero la Felicità è un poemetto di Guido Gozzano, contenuto nella raccolta I colloqui (1911). Poeta post-decadentista dall’animo diviso tra la semplicità della vita quotidiana e la complessità dell’arte, Gozzano morì a soli 32 anni di tubercolosi (a quel tempo chiamata il “mal sottile”). Malinconico e nello stesso tempo romantico sognatore, ne “La signorina Felicita” si rivolge a un amore di campagna, una giovane donna incontrata quasi per caso durante un periodo di villeggiatura a Ivrea.

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La lirica è datata 10 luglio, il giorno di Santa Felicita:

Signorina Felicita, a quest’ora scende la sera nel giardino antico della tua casa. Nel mio cuore amico scende il ricordo. E ti rivedo ancora, e Ivrea rivedo e la cerulea Dora e quel dolce paese che non dico.

La pace del bambino.

Possiamo immaginare il poeta chino su una scrivania, mentre fuori dalla sua finestra il sole comincia a declinare senza però perdere ancora il vigore tipico dei mesi estivi; possiamo immaginarlo immerso nel silenzio, intento a ricordare qualcosa che è stato e non sarà mai più: si domanda cosa starà facendo lei, e come è possibile pensare tanto intensamente a una persona senza riuscire a vederla, a toccarla, a sentirla.

La vita di Gozzano è andata avanti e così quella della signorina Felicita: due treni obbligati a correre su rotaie diverse, che una volta si sono incontrati in una stazione fuori dal mondo per il tempo di una fermata. Eppure non c’è rimpianto nelle parole dell’autore: solo una dolce tristezza vestita da ironia… Sentendosi condannato sia dalla malattia sia dalla propria indole di poeta, è come se sapesse di non potersi permettere la disperazione di un amante sfortunato. L’ingiustizia della sua condizione purtroppo non si può curare.

Dopo aver salutato la propria musa, Gozzano si lascia andare ai ricordi di quel glorioso inizio d’autunno trascorso a Ivrea: ripensa all’abitudine quotidiana di salire fino alla casa della signorina Felicita, alle chiacchiere con il padre di lei, noiose ma necessarie per evitare che le sue visite sembrassero sospettose; al silenzio della grande dimora, troppo vasta e lussuosa per una giovinetta e un padre mezzo usuraio; ai resti di un passato illustre, disseminati negli angoli e ormai ridotti a inutili cimeli. Alla polvere, al suo odore dolciastro, alle fiabe sussurrate nel nulla dalle vecchie sovrapporte.

Così, in un coacervo di ricchezza e praticità, gli piaceva sedere nella cucina ancora tiepida dopo la cena, restando muto accanto all’amata; mentre una domestica decrepita (Maddalena…) lavava i piatti e borbottava parole che si perdevano nello sciabordio dell’acqua, i due giovani riposavano davanti al fuoco. Gozzano dice che in quei momenti sentiva nell’animo qualcosa di impossibile da descrivere, una stretta fatta di felicità, sicurezza e un po’ di malinconia.

Si tratta della pace di chi per un attimo riesce a vivere il presente senza preoccuparsi del passato, né del futuro: la pace che tutti hanno conosciuto da bambini, quando bastava rannicchiarsi in un luogo caldo per trovare il sonno. Una pace che vive di adesso, e solo di oggi, e solo di questo momento.

Il poeta sapeva bene che quegli istanti non sarebbero durati per sempre, ma non gli importava; la signorina Felicita aveva fatto per lui, forse inconsapevolmente, ciò che soltanto un piccolo vero amore sa fare: gli aveva fatto dimenticare se stesso.

Il fantasma e l’addio.

Le decorazioni della casa parlavano a Gozzano di miti remoti, rimasti a decantare nella memoria del classicisti. E lui provava una bonaria gelosia per la signorina Felicita, provava gelosia per la capacità di lei di camminare ogni giorno in quelle stanze senza darsi pensiero di ciò che tali dipinti rappresentavano: a lei non importava della storia, della bellezza, della poesia che nel cuore di Gozzano era indiscussa dittatrice.

Lei aveva imparato a malapena a leggere e scrivere e addizionare e sottrarre il tanto che bastava per cambiare i soldi al mercato; ed era, e sarebbe sempre stata, più felice di quanto un poeta saprà mai essere.

Gozzano non invidia la salute della signorina Felicita. Certo è stato costretto ad abbandonarla perché lei aveva una lunga vita davanti mentre lui stava già morendo, ma forse nel loro addio frettoloso era rimasto anche qualcos’altro.

Forse l’ha lasciata andare anche perché vedeva i sentieri troppo diversi su cui entrambi si erano ormai incamminati: Felicita passeggiava alla luce del sole, lui si era perso nella contraddizione della poesia che rende l’uomo in grado di immaginare la felicità ma non di viverla. Infatti si è sempre vergognato di essere poeta, però non ha mai potuto tornare indietro.

E quindi, cosa gli era rimasto da fare?

Vagabondare solo in una notte di luna, fino ai cancelli di un cimitero; piangere laggiù e domandare ai fantasmi in ascolto se la morte non sia semplicemente più pietosa della vita.

Poi farsi coraggio, salire un’ultima volta alla casa adorata per congedarsi dalla sua amata; infine lasciare quel luogo dove aveva trascorso tante ore felici, mentre la signorina Felicita non era riuscita a dire una parola.

Con lui sono rimasti i ricordi del loro amore, ricordi che poi ha trasformato in un malinconico omaggio; con lei resta lo spettro di un giovane uomo privo di speranze, un altro spettro che si aggira per la soffitta della grande casa ululando nelle notti di vento. O forse no, non ululando: sorridendo in silenzio.

M’apparisti così, come in un cantico del Prati, lacrimante l’abbandono per l’isole perdute nell’Atlantico; ed io fui l’uomo d’altri tempi, un buono sentimentale giovine romantico... Quello che fingo d’essere e non sono!

Leggi anche: I sogni non fanno rumore: di Roberta Dieci

Elisa Costa

Elisa è nata a Busto Arsizio il 29 maggio 1991. Si è diplomata al Liceo Classico Daniele Crespi di Busto Arsizio nel 2010, e nel 2013 si è laureata in Scienze dei Beni Culturali presso l'Università degli Studi di Milano. Da poco più di quattro anni lavora come addetta ufficio stampa per l'agenzia letteraria Saper Scrivere Bene. Nel 2017 ha ottenuto il diploma di correttore di bozze dopo aver frequentato un corso di cdb presso la casa editrice Panesi. Nel frattempo ha cominciato a lavorare anche da freelance sia come addetta ufficio stampa (in ambito letterario e non) sia come editor per la scrittrice e giornalista Beatrice Masci. Inoltre ha tenuto per qualche tempo dei corsi online di grammatica italiana per stranieri. Nei ritagli di tempo offre lezioni private di letteratura, filosofia, storia dell'arte e altre materie umanistiche. In futuro vorrebbe aprire un'agenzia letteraria propria; nel frattempo è diventata la titolare, insieme ad altre due socie, dell'agenzia di servizi editoriali Servizi d'Autore. Sta inoltre frequentando un corso/tirocinio di editing presso la casa editrice Genesis Publishing.Come autrice ha pubblicato, dal 2011 a oggi, due raccolte di poesie ("Poesie per te", edita da Aletti, e "50 giorni con le streghe", edita da Eretica) e un breve romanzo, "Il cuore dello sposo" (Eretica Edizioni). Inoltre nel corso degli anni ha pubblicato un certo numero di poesie in antologie di autori vari, alcune edite da Aletti e una edita da Pagine. Nel 2016 il suo racconto "Pomeriggio di caccia" è stato pubblicato nell'antologia "Io scrivo per voi: parole per ricostruire", un'opera il cui ricavato è stato devoluto alle vittime del terremoto del 24 agosto 2016. Da aprile 2016 a febbraio 2017 ha lavorato come redattrice per il webmagazine Hall of Series. Nello stesso anno il suo racconto "Il dio lavoro" è arrivato tra i primi dieci finalisti del Premio Letterario Cremascolta 2016. Nel 2019 ha scritto per Vizi Editore una biografia romanzata di Tim Burton, la quale è stata pubblicata in forma di audiolibro. La sua poesia "Salvami" sarà presente nel primo numero della rivista Polyglot Poetry Magazine.

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